Corruzione internazionale, anche D’Alema nei guai

Massimo D'Alema (foto Vincenzo Livieri - LaPresse)

NAPOLI – La Digos di Napoli ha eseguito un decreto di perquisizione su mandato della Procura di Napoli nelle abitazioni e negli uffici dell’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Massimo D’Alema e dell’ex amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, nell’ambito di un’indagine sulla presunta intermediazione per la vendita alla Colombia di forniture militari da parte del colosso pubblico della Difesa e da Fincantieri per un valore che supera i 4 miliardi di euro . Secondo l’ipotesi della Procura partenopea l’ex premier si sarebbe adoperato per mettere in contatto con Leonardo e Fincantieri due broker pugliesi, il 44enne Emanuele Caruso e il 39enne Francesco Amato, entrambi indagati assieme ad altre 4 persone.

Oltre a Profumo, D’Alema e i due borker Emanuele Caruso e Francesco Amato sono indagati per corruzione internazionale Giuseppe Giordo, ex Direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri, Umberto Bonavita e Gherardo Gardo che avrebbero rappresentato in Italia lo studio legale associato americano Robert Allen Law di Miami indicato da D’Alemaper finalizzare gli accordi, e un uomo ritenuto vicino all’ex premier e che avrebbe preso parte alla trattativa, Giancarlo Mazzotta, ex sindaco di Carmiano. I contratti sono mai andati in porto e l’affare da 4 miliardi di euro, di cui 80 milioni (il 2%) secondo gli inquirenti sarebbero stati la “provvigione” e la tangente da dividersi fra italiani e pubblici ufficiali colombiani, sono saltati. Secondo la Procura di Napoligli indagati italiani volevano tentato da funzionari politici, amministrativi e militari del governo di Bogotà fra i quali sono stati individuati: Edgardo Fierro Flores, Capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia; Marta Lucia Ramirez, ministro degli esteri e vicepresidente della Colombia; German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto, delegati della commissione del Senato della Colombia e altri funzionari sudamericani che sono in corso di identificazione.

Nella presunta vicenda corruttiva finita sotto la lente della Digos e della Procura di Napoli che hanno disposto una serie di perquisizioni nei confronti di Massimo D’Alema, Alessandro Profumo, Giuseppe Giordo e Gherardo Gardo figurano coinvolti una componente italiana e un’altra colombiana. La “mazzetta” da 80 milioni di euro, sempre secondo gli inquirenti, doveva essere suddivisa al 50% tra le due parti e ad occuparsi della spartizione avrebbe dovuto essere uno studio legale statunitense, il “Robert Allen Law” di Miami, in Florida. Ma l’affare salta – secondo quanto emerso dalle indagini – per dissidi sorti proprio in relazione alla spartizione. A segnalare i professionisti americani, per la Procura e la Digos di Napoli , sarebbe stato Massimo D’Alema. Allo studio legale statunitense (in Italia si sarebbe dovuto occupare dell’affare gli indagati Umberto Bonavita e Gherardo Gardo) era stata delegata tra l’altro, la creare dei contratti, delle transazioni, delle ripartizioni e anche della distribuzione della cospicua somma (gli 80 milioni di euro).

Un lavoro rimasto lettera morta però in quanto, alla fine, potrei sorti dissidi riguardo alla suddivisione del denaro tra le componenti italiana e colombiana. alla vendita, poi non conclusa, di navi e aerei, da parte di Fincantieri e Leonardo, al governo colombiano. “Il presidente D’Alema – ha detto l’avvocato Gianluca Luongo – ha fornito la massima collaborazione all’autorità giudiziaria. Siamo certi che sarà dimostrata la più assoluta infondatezza dell’ipotesi di reato a suo carico”. Meno diplomatico, invece, l’avvocato di Giuseppe Giordo, Cesare Placanica: “Siamo in presenza di una costruzione giuridica assolutamente ardita. Resa, inoltre, in virtù di una competenza territoriale a procedere che si fatica a comprendere. Stupisce peraltro, in relazione a tale problematica , che malgrado il clamore della vicenda ci sia stato una sola procura della Repubblica su tutto il territorio nazionale che abbia ritenuto sussistente profili di rilevanza penale – sottolinea il penalista – Così seri da meritare, addirittura, un atto di perquisizione, inevitabilmente destinato a finire nel circuito mediatico’’.

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