Covid, Trentino: no vax pagavano fino a 1000 euro per falso test positività

Cinquanta euro per il green pass base, mille per il super. Bastava pagare in contanti e subito per ottenere in meno di un minuto certificati di falsa positività.

Foto Claudio Furlan / LaPresse Nella foto: controllo green pass

TRENTO – Cinquanta euro per il green pass base, mille per il super. Bastava pagare in contanti e subito per ottenere in meno di un minuto certificati di falsa positività. Così, una volta finita la quarantena fasulla, ecco il certificato verde vero. Tutto senza vaccinarsi, naturalmente. Una ‘tamponopoli’ per no vax secondo la procura di Trento che, dopo 4 mesi di indagini da parte del nucleo di polizia giudiziaria dei carabinieri e della compagnia della Guardia di finanza, ha fatto scattare blitz e sigilli a due centri tamponi accreditati di Pergine e Trento. Cinque gli indagati: un infermiere in regime di libera professione, già candidato sindaco per la Lega Nord a Civezzano, la moglie e 3 amici. L’ipotesi di accusa, sostenuta dai pm Davide Ognibene e Giovanni Benelli, parla di associazione a delinquere finalizzata al falso, corruzione e accesso abusivo informatico. Sotto la lente degli inquirenti ora ci sono i 33mila green pass rilasciati dalla struttura a partire dal 15 ottobre. Carabinieri e finanzieri dovranno controllarli uno a uno e compararli con i nomi, le date e i ‘compensi’ che l’infermiere avrebbe annotato di giorno in giorno in una sorta di registro contabile da 120mila euro. Soldi che gli investigatori hanno recuperato durante le perquisizioni domiciliari: banconote da 500 euro, mazzette da 20 e 50 euro ma anche montagne di monetine nascoste in casseforti, valigette ed oggetti domestici. “La comparazione dei dati sensibili ritrovati nel registro sta andando avanti, se saranno accertati illeciti i ‘clienti’ saranno denunciati per corruzione”, si apprende dalla procura. I difensori degli indagati parlano invece di “possibili errori involontari nella complessa macchina amministrativa per la refertazione dei tamponi e delle eventuali positività”. Intanto l’azienda sanitaria provinciale, che in buona fede aveva accreditato le strutture dirette dall’infermiere, fa sapere che “si tratta di un caso isolato” e che in un “eventuale processo ci sarà la costituzione di parte civile”. Stessa presa di posizione da parte di Nicola Paoli, segretario di Cisl medici Trentino, che annuncia “di essere parte lesa”. Dura la reazione del presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche, Daniel Pedrotti: “Se le accuse saranno confermate, si tratta di fatti gravissimi sui quali saremo inflessibili. Oltre ai rischi per la salute pubblica, alle responsabilità penali, è evidentemente lesa l’immagine degli infermieri che stanno garantendo nei diversi contesti la cure dirette e indirette ai cittadini in situazioni complesse e difficili – ha aggiunto Pedrotti -. L’aggravante sarebbe l’effetto lesivo sulla fiducia dei cittadini che credono nella professione infermieristica e dei colleghi infermieri che mettono a rischio quotidianamente la propria salute e spesso la vita per tutelare quella delle persone”.

LaPresse

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