Della Corte al vertice del clan Schiavone

Dalla piantagione di marijuana e al commercio degli oli minerali, i business della cosca

CASAL DI PRINCIPE – Con i padrini in cella e con i loro ‘delfini’ messi fuori gioco da pentimenti e ordinanze cautelari, la guida della cosca Schiavone-Russo, sostiene la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, era stata affidata a Giovanni Della Corte: storicamente legato alla famiglia Sandokan, sarebbe stato lui a riorganizzare e a dirigere il gruppo, pianificando e coordinando le riunioni degli affiliati presso la sua abitazione di via De Gasperi o presso il negozio, un mini-market, dell’ex moglie, Agnese Diana, in via Isonzo (ora chiuso). In quei summit, affermano i pm Maurizio Giordano, Graziella Arlomede, Vincenzo Ranieri e Fabrizio Vanorio (titolari dell’inchiesta) venivano programmate le estorsioni e le attività illecite connesse al traffico di stupefacenti.

La compagine, stando alla tesi degli inquirenti, aveva avviato pure dei contatti per allestire una piantagione di marijuana.
Tra i business sui cui la cricca Schiavone stava puntando c’era, dicono i magistrati dell’Antimafia, spicca pure il commercio di oli minerali. Della Corte si sarebbe occupato, inoltre, dell’approvvigionamento delle armi, alcune delle quali detenute da lui personalmente, e di sostenere gli associati, suddividendo i profitti derivanti dai business criminali intrapresi.
Ad affiancare Della Corte nella gestione dell’organizzazione, seguendo la tesi degli inquirenti, c’era Franco Bianco, detto ‘Mussulin’. Cosa faceva? Avrebbe impartito direttive agli altri associati custodendo, all’occorrenza, anche le armi.
A partire dal settembre 2020, dopo che fu scoperta la telecamera installata dagli investigatori presso la casa di Della Corte, le riunioni tra gli affiliati si sarebbero svolte presso la sua abitazione di via Genova.

A rappresentare il braccio operativo della compagine, invece, sarebbero stati Salvatore De Falco, Vincenzo Di Caterino e Giuseppe Di Tella. Si mettevano a disposizione dei vertici della cosca, sostengono i pm, per tutte le attività illecite, in primo luogo per le estorsioni. Alcuni incontri tra gli associati si svolgevano anche presso la casa di Di Tella. Quest’ultimo avrebbe svolto pure il ruolo di autista e di guardaspalle di Della Corte.

Funzione chiave nella combriccola quella che avrebbe svolto Giuseppe Granata. Dopo una pregressa vicinanza al gruppo di Michele Zagaria, per la Dda, a partire dal febbraio 2020, sarebbe passato agli Schiavone, aiutando Della Corte nella pianificazione delle estorsioni e progettando attentati esplosivi. Sarebbe stato lui, ritengono i militari dell’Arma, ad avvertire il boss della presenza di telecamere che puntavano sulla sua casa e sul negozio della consorte.

Fioretto il collegamento con la cosca ‘amica’

Quella di Schiavone non era l’unica cellula mafiosa attiva nell’Agro aversano. I numerosi arresti e le pesanti confische eseguiti nell’ultimo decennio non sono riusciti ad azzerare neppure la cosca Bidognetti e il clan Zagaria. E con loro Della Corte, per non pestarsi i piedi, si sarebbe interfacciato costantemente per organizzare le attività criminali. Per parlare con la compagine fondata da Cicciotto ‘e mezzanotte, l’esponente del gruppo Schiavone si sarebbe confrontato con Giosuè Fioretto. Era lui che avrebbe organizzato le estorsioni e il traffico di droga nella zona di Castelvolturno, attività che svolgeva per diretta volontà, afferma l’Antimafia, di Gianluca Bidognetti, figlio di Cicciotto. L’inchiesta che ha portato in cella Della Corte avrebbe fatto emergere proprio l’attuale l’operatività del gruppo Bidognetti. E a dirigerlo, dal carcere, sarebbe stato Gianluca. Raccogliere parte delle sue indicazioni, ha ricostruito la Direzione distrettuale antimafia, toccava a Vincenzo D’Angelo: era lui, dice l’accusa, che si recava a colloquio con Cicciotto ‘e Mezzanotte e riceveva i proventi delle attività estorsive del clan che poi distribuiva all’interno della ‘famiglia’. Del gruppo, stando alla tesi della Dda, facevano parte anche Agostino Fabozzo, Emilio Mazzarella, Nicola Sergio Kader e Luigi Cirillo, impegnati soprattutto a chiedere il pizzo ai commercianti e costruttori. L’Antimafia sostiene che erano intranei alla cosca Bidognetti anche Antonio Lanza e Nicola Garofano, con il ruolo di capozona rispettivamente a Lusciano e a Parente. Ritenuti organici alla gang di Cicciotto ‘e Mezzanotte, inoltre, Francesco Cerullo, Ernesto e Giovanni Corvino, che con la Ifa srl e della Nuova Funeral Aversana, imprese funerarie a loro riconducibili, avrebbero versato costantemente soldi a D’Angelo.
Della Corte si interfacciava anche con la compagine dei Casalesi attiva a Giugliano, rappresentata da Giuseppe Granata e Salvatore Sestile (deceduto).

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