Decreto dignità, Salvini raccoglie l’Sos dei leghisti, ma Di Maio lo frena

Foto LaPresse - Vince Paolo Gerace

ROMA – Il decreto dignità del ministro per il Lavoro e lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio scatena le opposizioni, fa insorgere sindacati, industriali, club calcistici e operatori del Sistema gioco Italia. Dal mondo leghista l’invito a modificare alcune cose per evitare di perdere parte del mondo di riferimento, quello legato alle piccole imprese preoccupate per le misure previste.

La ‘waterloo del precariato’

Questa la definizione utilizzata dal ministro Di Maio per presentare il dl dignità. “Avevamo promesso di fare una guerra al precariato – ha detto Di Maio – alla burocrazia, al gioco d’azzardo e alle delocalizzazioni e l’abbiamo fatto: è finita l’epoca del precariato senza alcun tipo di ragione”.

Le preoccupazioni della Lega

Le parole del premier Giuseppe Conte (“Nessuno può dire che siamo contro le imprese”) non sono bastate a placare gli animi degli industriali, e neanche i malumori interni alla Lega che tra gli imprenditori del Nord pesca gran parte del proprio consenso. Per questo l’ex governatore lombardo Roberto Maroni, ha invitato gli esponenti leghisti del governo a lavorare per modificare il dl dignità. A raccogliere l’Sos è il ministro, leader leghista, Matteo Salvini. “Il decreto dignità è un buon inizio – ha detto –. Il Parlamento cercherà di renderlo piu’ efficiente e produttivo. I voucher per la stagionalità vanno introdotti”.

La replica di Di Maio

“Modifiche del decreto in Parlamento? Il Parlamento è sovrano, io ho sempre chiesto di modificare alcune norme quando ero all’opposizione – ha spiegato – se le modifiche vanno nell’ordine del miglioramento troveranno un dialogo, invece se si vogliono annacquare le norme che abbiamo scritto allora il M5S sarà un argine. Non si arretra sulla precarietà, sulla sburocratizzazione o sulla delocalizzazione”.

Un boccone amaro ciascuno

Il governo gialloverde in queste prime settimane si è caratterizzato inizialmente per le politiche di Salvini sui migranti. La linea dura sposata da Di Maio e dal ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli è stato un boccone amaro per buona parte del Movimento 5 Stelle. Adesso, i leghisti non possono invadere il campo degli alleati pentastellati rispetto alle misure per il lavoro. A ognuno il suo.

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