Partiti politici e denaro pubblico

"La democrazia non ha bisogno di siffatti partiti né i cittadini hanno la necessità di tirare fuori dalla propria tasca soldi perché poi i partiti politici continuino a sperperarli".

Foto LaPresse

Ha suscitato non poco scalpore la vicenda riguardante il sequestro dei beni della Lega Nord per risarcire lo Stato italiano di 49 milioni di euro derivanti dal finanziamento pubblico accordato al Carroccio e spesi per compiti che esulavano dall’attività politica e parlamentare per la quale il contributo in denaro era stato elargito. La sentenza crea un precedente allarmante che è quello relativo all’ingerenza della magistratura nella vita dei partiti politici, ancorché, è bene chiarirlo, in punto di fatto e di diritto, l’atto stesso è ineccepibile e fa giustizia della malversazione dei soldi dei contribuenti.

Giova ricordare come la crisi della Prima Repubblica, manifestatasi violentemente con l’affare di Tangentopoli – ovvero la distribuzione di una maxi tangente di 300 miliardi di vecchie lire derivanti dal riacquisto di Enimont da parte dello Stato – si manifestò, appunto, proprio perché i famelici partiti si approvvigionavano, con metodi poco leciti, del denaro necessario per mantenere in piedi il loro mastodontico apparato burocratico-amministrativo (e magari soddisfare le esigenze di qualche dirigente). Si pensò di combattere questa devianza regolamentando il finanziamento con l’obbligo di renderlo pubblico attraverso l’iscrizione in appositi registri. Purtroppo i fatti successivi hanno dimostrato che il rimedio non ha sradicato il male perché, anche se documentato, nessun controllo v’era poi sulle finalità dell’uso appropriato del finanziamento.

In sintesi, la morale che viene fuori da questa storia è che, a tutt’oggi, manca in Italia una corretta disciplina che inquadri i partiti politici come enti di diritto pubblico, ovvero sottoposti al controllo di un authority indipendente, che verifichi l’aderenza delle attività allo statuto che i partiti stessi si sono dati, e che la vita di queste associazioni politiche si svolga secondo le regole e il metodo democratico. Sarà bene precisare che i partiti sono quello che sono perché i padri costituenti, uscendo da una dittatura, quella fascista, durata vent’anni, vollero mantenerli del tutto autonomi rispetto ad ogni altro potere. Ecco perché, nonostante siano assegnatari di ingenti somme di denaro, questi stessi partiti altro non sono che delle associazioni private come lo può essere una bocciofila o un normale circolo ricreativo di caccia e pesca. Da qui la disparità tra l’entità del finanziamento e l’inesistenza di obblighi e vincoli, nelle modalità e delle finalità del denaro stesso, che stride con altre realtà nelle quali pure viene utilizzato il denaro dello Stato.

I partiti, lo ribadisco, vanno resi autonomi dalla giurisdizione e sottratti ad un controllo preventivo della magistratura e di ogni altro organo statale per evitare forme di pressione e di condizionamento. Tuttavia, di converso, credo anche che laddove ci sia l’impegno di pubblico denaro ci debba anche essere il riscontro che quel denaro serva effettivamente a finanziare organismi democratici che ottemperino alle regole statutarie e che quindi quel finanziamento venga utilizzato per le finalità politiche e parlamentari.

Luigi Sturzo nel 1955 propose la riforma dei partiti politici in tal senso e con lui molti altri parlamentari in seguito negli anni. Compreso il sottoscritto che, con i senatori Sposetti e Compagna, ha riproposto, aggiornato, quel disegno di legge che tuttora giace, sottoposto alla critica divoratrice dei topi, nei polverosi depositi del Parlamento.

Volendo tirare le somme, la crisi dei partiti e della politica, in generale, è dovuta alla mancata disciplina ed al mancato riconoscimento dei partiti come enti pubblici e dal mancato controllo di un autorità neutrale che garantisca il corretto utilizzo del denaro pubblico. Un esempio per concludere e per dare la dimensione di quanto grosso e urgente sia il problema: Forza Italia e il Pdl, nei 23 anni di attività politica e parlamentare, hanno ottenuto circa 700 milioni di euro di finanziamento pubblico. Somma che, unita ai contributi liberali degli iscritti, è arrivata a circa un miliardo di euro. Ebbene, in Fi non sono mai stati celebrati, democraticamente, un congresso né si è preceduto all’elezione dei dirigenti in sede centrale. Men che meno qualcuno ha controllato l’utilizzo di tutti questi soldi. Lo stesso, ovviamente, è avvenuto altrove. Ora, la democrazia non ha bisogno di siffatti partiti né i cittadini hanno la necessità di tirare fuori dalla propria tasca soldi perché poi i partiti politici continuino a sperperarli.

Vincenzo D’Anna, presidente nazionale dell’Ordine dei Biologi

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