Fratellastri d’Italia

Vincenzo D'Anna, ex parlamentare

L’argomento che in questi giorni appassiona la politica, è l’avvicinarsi della data nella quale alcune regioni del Nord acquisiranno un’autonomia rafforzata. Tutto nasce dai referendum consultivi  che si sono svolti in Veneto e Lombardia il 23 ottobre del 2017. In quelle due regioni la maggioranza dei cittadini si è detta subito favorevole a negoziare con Roma lo delocalizzazione dei poteri dello Stato su 23 materie. Subito si è accodata la Regione Emilia e, successivamente, altri enti locali. Tutti uniti, al Settentrione, per chiedere un’ulteriore devolution. Per  molti mesi la politica ha guardato altrove, finendo per ignorare questo scenario che appare di stampo marcatamente secessionista. Non si tratta, infatti, solo di fare una legge oppure di chiedere allo Stato, attraverso un referendum, un’autonomia più larga, quanto di possedere ricchezza interna e strutture in grado di poter svolgere funzioni che prima erano appannaggio del potere centrale. Abbiamo alcuni esempi emblematici che ci dicono che le regioni del Nord sono più efficienti e più ricche ed in quanto tali maggiormente capaci di assicurare l’erogazione ottimale dei servizi, rispetto alle più povere e disorganizzate regioni del Sud. Accentuare questo divario, trasferendo altre competenze alle regioni cosiddette più agiate, oltre che ingiusto, appare anacronistico in una Nazione che da quando è nata e per come è nata, frutto di una forzosa annessione al regno del Piemonte, patisce il divario tra il Settentrione ed il Meridione. Un divario che va sotto il nome di “Questione meridionale”, problema mai veramente risolto nel corso di un secolo. 

È veramente strano che al governo siano giunte due forze cosiddette “sovraniste” che rivendicano il mantenimento dei poteri decisionali e discrezionali della Nazione nei riguardi della Europa Unita, ma poi, sul versante interno, sono propense a strappare allo Stato la gestione e la decisione di servizi ed ambiti sociali ed organizzativi. E tuttavia quel che potrebbe sembrare un atto di democrazia accentuata – l’applicazione del principio di sussidiarietà in maniera ancora più estesa – finisce con l’essere un elemento di ulteriore disarmonia e di sperequazione tra le due anime del Paese. Aumentare le disparità, qualunque esse siano, significa lasciare indietro i più poveri ed i meno organizzati, creare due ambiti nazionali distanti e distinti tra loro, accentuare la frattura storica economica e sociale tra la parte più produttiva ed emancipata ed il Mezzogiorno d’Italia. L’esatto contrario, insomma, di quello che per anni è stato predicato in tutte le salse. Se tale processo di “delocalizzazione” dovesse andare in porto, sorgerebbero ulteriori sperequazioni sociali ed economiche e con esse si accentuerebbero le diversità ed i modi di vivere. 

Don Lorenzo Milani soleva ripetere ai suoi alunni nella scuola di Barbiana che “la più grande delle ingiustizie è quella di fare parti uguali tra diseguali” ed in questo caso, con l’autonomia rafforzata, sarebbe ancora peggio. Si tratterebbe infatti di fare parti diseguali tra i diseguali, lasciando indietro i più deboli. 

Un esempio valga per tutti. La Sanità in Italia, già regionalizzata, funziona a due velocità. Al Nord l’assistenza territoriale al malato è cosa fatta, al Sud ancora poco praticata. Ne consegue che al Nord i piccoli ospedali locali, doppioni gli uni degli altri, sono stati sostituiti da centri ospedalieri di alta specialità, al Sud siamo invece ancora alla vecchia rete ospedaliera parcellizzata che produce debiti e disservizi. 

Lo Stato distribuisce il fondo economico della sanità (oltre 110 miliardi di euro) favorendo alcune regioni del Nord dove i cittadini dispongono di maggiore ricchezza pro capite. Per capirci, un lombardo impegna, dal fondo statale, circa duemila euro all’anno, ai quali aggiunge seicento euro sborsati di tasca propria per sostenere esami e ticket sanitari. Il calabrese, invece, spende un identico fondo pro capite al quale però aggiunge a malapena una spesa personale di soli centocinquanta euro. In soldoni: lo Stato non copre, col fondo, la diversità di ricchezza e di possibilità del calabrese rispetto al lombardo. Così i primi finiscono per godere di minori tutele sanitarie e si vedono costretti a trasferirsi al Nord se vogliono essere curati portando, di conseguenza, lassù ulteriori ricchezze. Accentuare simili divari di efficienza rappresenta, di conseguenza, un’infamia politica, sociale ed economica. Si tratta di cancellare il principio di uguaglianza delle opportunità e di determinare la forzata disparità degli esiti di vita. Un paradosso tutto italiano che contraddice finanche il buon senso, azzera i principi di solidarietà e civile convivenza che sono le fondamenta dello Stato. Insomma se questo progetto di secessione silenziosa andrà in porto saremo fratellastri d’Italia.

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