Un vecchio aforisma recita: “dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Dio”. Credo che, in questi giorni, il celebre motto sia ronzato spesso nella testa del capo del Governo, Giorgia Meloni, soprattutto quando ha aperto bocca il presidente del Senato del Senato Ignazio La Russa. Costui vanta un curriculum ineccepibile di militante del Msi-Dn con un’accertata partecipazione ai gruppi più esagitati del Fronte della Gioventù, il movimento politico giovanile missino degli anni Settanta. Grazie alla turbolenta militanza nel partito che fu di Giorgio Almirante il sulfureo parlamentare siciliano è salito, via via, fino ai gradi di colonnello in quell’avanguardia di parlamentari che ne ereditò la successione, con la segreteria politica affidata a Gianfranco Fini. Nello stato maggiore di quest’ultimo, il senatore ha poi dato vita alla svolta di Fiuggi trasformando la vecchia “fiamma tricolore” post fascista in Alleanza Nazionale, creatura, a sua volta, confluita (con il medesimo) nel progetto berlusconiano della Casa delle Libertà e del Popolo della Libertà. Dopo la rottura tra il Cavaliere e l’ex presidente della Camera, La Russa scelse di fondare, con un manipolo di amici, tra i quali spiccava la giovane pasionaria” della destra italiana, Giorgia Meloni, l’attuale Fratelli d’Italia. Con la ragazza prodigio della destra tricolore, il nostro ha lavorato fino a giungere all’affermazione elettorale di FdI che ha portato a Palazzo Chigi la prima donna presidente del Consiglio italiana e lui stesso alla seconda carica dello Stato. Insomma una lunga carriera costellata di battaglie e di passioni manifestata con il piglio caratteriale di quelli che credono (e ne sono convinti) nella bontà delle proprie idee, ancorché spesso espresse con una caratteristica voce stridula e cacofonica, che ha fatto la fortuna di molti imitatori . Una personalità di spicco di un’area politica ben identificata che ha portato l’attuale primo inquilino di palazzo Madama, attraverso le asperità della politica, fino agli astri più splendenti di incarichi di governo e di istituzioni statali. Un lungo percorso che ne ha certamente forgiato il carattere e maturato l’esperienza. Tuttavia non sempre l’avvocato milanese riesce ad abbandonare il piglio garibaldino di cui è naturalmente dotato. Risultato: immemore della figura istituzionale che pure rappresenta, eccolo abbandonarsi in dichiarazioni che alimentano polemiche creando momenti di frizione più che di coesione. Ora, poiché la politica italiana è sostanzialmente fatta di chiacchiere contrapposte, la disinvoltura dell’eloquio lo mette al centro di scontri polemici con le opposizioni. In questa veste scapigliata La Russa ha dato il meglio di sé negli ultimi tempi, prima con una dichiarazione sui fatti di via Rasella, l’attentato che i Gap partigiani, il braccio armato del partito comunista, compirono in quella strada di Roma, facendo molte vittime tra i soldati alto-atesini in forza all’esercito tedesco, scatenando la feroce rappresaglia nazista con l’eccidio di oltre trecento antifascisti e semplici cittadini, nelle Fosse Ardeatine. L’assunto del presidente del Senato era quello che gli attentatori avessero colpito degli inermi riservisti (definiti da lui “musicanti”) riverberando in tal modo un grave danno per la causa partigiana con la soppressione di molti e qualificati esponenti della Resistenza. Si erano appena spente quelle polemiche che la facondia verbale dell’esponente della destra è tornata a farsi viva. In un’intervista sulla prossima ricorrenza della festa della Liberazione (25 aprile), il presidente del Senato ha infatti escluso che l’antifascismo fosse presente nella nostra Costituzione. In seguito La Russa ha rettificato, precisando che la sua dichiarazione era riferita alla sola “terminologia”. “Voce dal sen fuggita poi richiamar non vale” scriveva Pietro Metastasio, e quindi nonostante la postuma precisazione, la polemica è divampata lo stesso, fragorosa. Che la Magna Carta, la legge delle leggi, non abbia un ispirazione antifascista è una grossolana asineria perché essa è fondata proprio sulla necessità di dotare la neonata Repubblica di un sistema di diritti e di libertà personali, di istituzioni democratiche e di partiti politici che scongiurassero, in futuro, ogni ipotesi di ritorno dei regimi dittatoriali. Quindi stiamo parlando di uno strumento che ontologicamente è antifascista e, mi permetto di precisare (ed aggiungere, con Piero Calamandrei, eminente componente dell’Assemblea Costituente), anche anti totalitaria nella più vasta accezione del termine. Pertanto, paradossalmente, classificarla “solo” come antifascista potrebbe apparire finanche limitativo ed ornai anacronistico nel secolo in cui i totalitarismi (fascisti e comunisti) sono scomparsi nel consesso mondiale. Ne deriva quindi che coloro i quali continuano a guardare in modo strabico alla nostra carta costituzionale come strumento antifascista compiono un’operazione opportunistica e strumentale. Forse era questo che intendeva dire La Russa. Tuttavia il presidente del Senato deve esprimersi con completezza ed appropriatezza se non vuole creare il “fuoco amico” della polemica sul Governo. Mi chiedo, però: mettere uno come lui che crede di poter essere ancora intemperante ed a volte inopportuno, su quell’autorevole scranno, non è già di per sé un clamoroso autogol?
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