Giù le mani dal Riformista

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Da quando al volere ed agli abusi del monarca si sono sostituite le leggi – sotto il cui imperio tutto devono sottostare – gli uomini sono diventati più liberi. D’altronde, è risaputo: quanto più ampio è il margine dei diritti riconosciuti ai cittadini ed indisponibili al potere, tanto più ampia diventa la libertà sociale. Libertà, si badi bene, che discende dalle carte costituzionali adottate nel corso delle due rivoluzioni avvenute nel cosiddetto “Secolo dei Lumi”: quella americana e quella francese. La prima si traduce in una dozzina di emendamenti: formule generiche indicanti i valori ed i diritti dei quali tutti sono depositari. Sottoscritta a Filadelfia nel 1787, concede ad ogni cittadino il possesso reale di diritti e libertà tali da poter cercare individualmente la propria felicità. Insomma, lo Stato viene costruito intorno al singolo che non viene “sopraffatto” dall’apparato burocratico e pervasivo delle istituzioni. La rivoluzione transalpina del 1789, invece, dà vita ad una carta costituzionale ben più corposa, fatta di vincoli ed obblighi che il cittadino si vede imporre dall’organizzazione statale. Il singolo gode sostanzialmente di prerogative subordinate a quelle preminenti dello Stato che, dal canto suo, rappresenta i diritti della collettività a discapito, dunque, dei diritti e delle libertà individuali. Per dirla con altre parole, Parigi al contrario di Filadelfia, costruisce lo Stato burocratico rendendolo depositario dei diritti. Una divergenza sostanziale che rende il singolo subalterno alla collettività, unico modo, questo, per realizzare la tanto decantata eguaglianza che, con la libertà e la fraternità, costituisce uno dei cardini della rivoluzione francese. Si annida in questo stesso concetto il seme del socialismo e delle società massificate, l’illusione che l’uguaglianza possa essere considerata un rimedio di giustizia sociale. Influisce, su questa impostazione, l’ideologia degli enciclopedisti che negli atelier intellettuali, diedero vita ai vari fermenti rivoluzionari. Diderot, D’Alambert, Rousseau, Robespierre e Marat furono i numi tutelari del bagno di sangue nel quale sfociarono i moti rivoluzionari nel periodo del “Terrore”.

Con una certa dose di approssimazione potremmo dedurre che la rivoluzione americana ha consentito di costruire un Paese in cui si può esercitare un reale controllo sugli abusi del potere. Viceversa quella Francese ha contribuito a far nascere un’idea dello Stato le cui prerogative fanno soccombere quelle degli individui. Non è stato un caso storico fortuito che nei paesi edificati sull’impostazione costituzionale anglosassone, i cittadini abbiano potuto esercitare più agevolmente il diritto di critica e di controllo verso chi li governa. Se il potere non può esercitare abusi, ritorsioni e minacce, è certo più facile organizzare i controlli. Ora, in questo contesto, la stampa può dirsi veramente libera solo se immune da vincoli e pressioni, solo se messa al riparo dalle blandizie e dai favori del potere. Purtroppo non accade così in Italia ove ancora vive e vegeta una società che rincorre l’uguaglianza malamente intesa come surrogato della giustizia: un cripto socialismo che assegna allo Stato monopoli in economia e privilegi nella concessione delle libertà civiche.

Spesso la longa manus di questo imperio è rappresentata dall’ordine giudiziario e dall’assoluto, irresponsabile, esercizio della giurisdizione, in uno con certi enti di categoria che, in talune circostanze, diventano consustanziali al potere corporativo della categoria medesima. E’ questo il caso che investe il giornalista Piero Sansonetti, direttorei del giornale “Il Riformista”, reo di aver rivelato in un articolo il nome del giornalista che informò Luca Palamara di essere sotto controllo da parte degli inquirenti. Insomma aver disvelato una circostanza che getta nuova luce sugli accadimenti della “compromissione” tra media, potere politico e (certe) toghe. Sansonetti si interrogava sul perché non fosse stata aperta un’inchiesta per scoprire le lacune nelle intercettazioni che avevano fatto salvi taluni colloqui avvenuti tra alcuni pm e l’ex capo dell’Anm e quanto altro si poteva documentare nell’intreccio di potere eversivo venuto alla luce ai vertici delle Procure e del Csm. L’Ordine dei giornalisti ha censurato Sansonetti che è stato poi anche aggredito a suon di “querele” da non pochi magistrati. Gli stessi che comunque non hanno mosso un dito per indagare sulle omissioni di quell’inchiesta. Tuttavia le parti si sono invertite ed oggi tacciono sia la grande stampa che i moralisti di giornali e “talk show” televisivi. Il potere dei magistrati fa paura a tutti perché le libertà sottoposte ad un potere assoluto sono sempre in pericolo. Il potere non ci pieghi. Giù le mani dal Riformista.

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