Godot? Continuiamo ad attenderlo…

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Si è sempre ritenuto che la Francia fosse la patria degli impressionisti e degli esistenzialisti. I primi, con i loro dipinti, fanno bella mostra di sé nel museo d’Orsay ove milioni di turisti ne ammirano i capolavori “en plen aire”. I secondi, in quanto scrittori ed intellettuali, vivono in eterno nei loro testi in tutte le librerie del mondo. Non è una coincidenza occasionale che “À la recherche du temps perdu” di Marcel Proust sia stato acclamato come uno dei migliori romanzi in assoluto del secolo scorso (oltre che il più lungo). Parigi e le sue istituzioni universitarie, quelle artistiche, è sempre stata un crogiolo di intellettuali, letterati, filosofi, sociologi, drammaturghi, registi e poeti. Uno di questi, Samuel Beckett, autore di “Aspettando Godot”, irlandese di nascita, finì per insegnare come lecteur d’anglais alla École normale supérieure de la Ville Lumiere. Influenzato dagli esistenzialisti diventò, con Eugene Jonesco, il fondatore del teatro dell’assurdo, dove i canoni classici della drammaturgia venivano stravolti. Un’analogia con quello che nel mondo della pittura era stato il movimento cubista, la scomposizione delle forme nei dipinti di Braque e Picasso. I personaggi del romanzo di Beckett, ordinari ed insulsi, che aspettano colui che non arriverà mai, somigliano ai tanti che finora si sono interessati di vaccini e di vaccinazioni. Chi ha seguito gli articoli che abbiamo pubblicato sulle colonne di questo giornale, sa bene che siamo stati sempre critici. Avemmo a chiedere che si identificassero i soggetti fragili e li si controllasse e, nell’eventualità, li si curasse in casa propria. Occorreva mettere in campo un’equipe formata dal medico curante, dallo specialista in pneumologia, da un medico ospedaliero e da un sostanzioso numero di infermieri e di biologi per eseguire terapie mediche e test rapidi in estemporanea. Una rete a maglie strette, insomma, all’interno della quale le terapie avrebbero dovuto utilizzare i farmaci adeguati, tra i quali anche gli anticorpi monoclonali. Viceversa, per mesi, si sono ingolfati gli ospedali, spesso non attrezzati, divenuti essi stessi veicolo di diffusione virale. Si sono messe in campo politiche di antico stampo come il distanziamento e la chiusura indiscriminata delle attività invece di vaccinare determinate categorie per mantenere, entro limiti accettabili, il blocco delle attività produttive. La grancassa per il battage pubblicitario era monocorde: vaccini, solo vaccini. Salvo produrre, a singhiozzo, blocchi degli uni o degli altri innanzi al verificarsi di reazioni avverse mortali. Insomma: paura del rimedio dopo aver vissuto il terrore di contrarre la malattia. Ineffabili, impermeabili, insensibili, sordi e negligenti innanzi ad ogni ipotesi che potesse cambiare lo stato dell’arte. A nulla sono servite le chiusure multicolori delle regioni, come un vestito di Arlecchino, le presunte vaccinazioni di massa, mai realizzate, per indurre un effetto gregge. Eppure gli scienziati “ortodossi”, quelli accreditati presso i talk-show televisivi, ben sapevano che la teoria dell’immunità era stata osservata e studiata su comunità, ovvero popolazioni circoscritte, di persone che avevano contratto la malattia. Insomma nel 65 per cento dei casi infetti, era stata sviluppata un’immunità naturale attiva, evento diverso dall’immunità artificiale passiva derivante dalla vaccinazione. E che dire del caleidoscopio di forniture e di ipotesi di forniture di una mezza dozzina di vaccini di diversa concezione e di effetto terapeutico diverso? L’Italia è andata a rimorchio passivo delle decisioni comunitarie, vittima dell’insipienza dei contratti sottoscritti che hanno lasciato ai produttori la facoltà di fare il bello ed il cattivo tempo. Infine gli anticorpi monoclonali utilizzati dopo mesi a fronte delle decine di migliaia di morti. Un ripetersi di quella lentezza sulle mancate autopsie che nei primi mesi dell’epidemia ha lasciato morire migliaia di anziani per errata diagnosi e cura. La sperimentazione dei monoclonali è avanzata a velocità di lumaca. Ancora oggi in alcuni ospedali se ne utilizzano si e no una dozzina al giorno, su altrettanti pazienti!! Eppure i risultati sono straordinariamente positivi: su venti pazienti trattati diciotto guariscono. Insomma basterebbe dotare le equipe ed i medici di famiglia di questi farmaci e somministrarli alla prima positività al virus. Tuttavia gli anticorpi costano molto più dei vaccini e nonostante il fiume di danaro (e di debiti) che viene dalla Ue si preferisce parlare dei massimi sistemi. Aspettiamo tutti inutilmente Godot. E suonano amare ed attuali le parole del libro “le lacrime del mondo sono una quantità costante. Da una parte uno comincia a piangere, da un’altra parte uno smette”.

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