Governo, la crisi scuote il Pd: Renzi strizza l’occhio al M5S ma Zingaretti dice no

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Matteo Renzi, Nicola Zingaretti

ROMA – La bomba fatta deflagrare da Matteo Salvini a Palazzo Chigi scuote pure le fondamenta del Nazareno. La crisi, tanto repentina quanto inaspettata, è sale sulle ferite delle varie anime del Partito Democratico che, ancora una volta, mettono in mostra tutte le loro lacerazioni.

Un caos, da tempo non più calmo, dove le posizioni cambiano in un batter d’occhio

Succede così che Nicola Zingaretti, tacciato spesso di aperturismo verso il M5S, diventi l’uomo della porta chiusa nei confronti di Luigi Di Maio mentre Matteo Renzi, il duro e puro del ‘senza di me’, strizzi l’occhio all’idea di un governo di scopo con il M5S.

La prima mossa, come accadde in un’intervista a Fabio Fazio dove bloccò ogni tentativo di governo Pd-M5S, è proprio del senatore semplice fiorentino. Renzi bolla l’ipotesi del voto come “una follia”. L’idea dell’ex premier è quella di un governo dai lui ribattezzato ‘no tax’. Le priorità sono in primis evitare l’aumento dell’Iva e terminare l’iter della legge sul taglio dei parlamentari per sottoporla poi agli italiani tramite un referendum. Solo dopo aver messo “conti e istituzioni in ordine” si potrà andare alle urne dove, assicura, “noi e il M5S saremo da due parti diverse”.

Nicola Zingaretti la pensa invece in maniera diametralmente opposta. Per il nuovo segretario dem la strada da percorrere è una soltanto: quella che porta alle urne. “All’accordicchio Pd-M5S con franchezza dico no. Regalerebbe a Salvini uno spazio immenso”, dice a chiare lettere.

Il ragionamento del governatore del Lazio è semplice: “E’ forte dire nel nome della democrazia non facciamo votare?”, si chiede. “Così Salvini griderebbe allo scandalo e daremmo a lui la rappresentanza del diritto dei cittadini di votare e decidere. Davvero allora i rischi plebiscitari sarebbero molto seri”.

Per il nuovo segretario dem la strada da percorrere è una soltanto: quella che porta alle urne

“All’accordicchio Pd-M5S con franchezza dico no. Regalerebbe a Salvini uno spazio immenso”, dice a chiare lettere. Il ragionamento del governatore del Lazio è semplice: “E’ forte dire nel nome della democrazia non facciamo votare?”, si chiede. “Così Salvini griderebbe allo scandalo e daremmo a lui la rappresentanza del diritto dei cittadini di votare e decidere. Davvero allora i rischi plebiscitari sarebbero molto seri”.

E attorno ai due pianeti si posizionano anche i vari satelliti della galassia dem, non sempre nella maniera attesa. Il leader di ‘Siamo Europei’ Carlo Calenda, certamente non uno zingarettiano della prima ora, sposa in toto la tesi del segretario. “Governo tecnico per qualche mese per fare cosa? La manovra più dura degli ultimi anni? Bisogna fermare Salvini ora e farlo insieme, mobilitando il paese. È il momento del coraggio non dei tatticismi”, argomenta.

Dall’altra parte della barricata interna, invece, Ettore Rosato e Dario Franceschini invitano tutti a non liquidare la proposta di Renzi ma di soppesarla attentamente. Un dibattito interno al quale non chiude nemmeno lo stesso Zingaretti a patto che, dopo, “si combatta uniti”. E proprio questo è pure il pensiero del presidente dei dem, Paolo Gentiloni, che mette tutti in guardia perché il gioco si fa duro “e quando succede i duri smettono di litigare”.

Al netto delle dichiarazioni istituzionali fra i sostenitori degli opposti schieramenti il dato politico che si cela dietro le uscite dei due rappresentanti di maggiore spicco è cristallino. Secondo i renziani Zingaretti vuole le urne per portare in Parlamento, dove al momento è in minoranza, i suoi fedelissimi. Per i sostenitori del segretario, invece, Renzi punta al governo di scopo per continuare a controllare le truppe del Pd alla Camera e al Senato. Lotte intestine nell’eterna partita doppia dem dove l’avversario è fuori ma anche e soprattutto dentro al partito. (LaPresse)

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