I rapporti del clan Massaro con la camorra napoletana

Foto LaPresse - Stefano Porta Carabinieri e ambulanza sul posto

SAN FELICE A CANCELLO – Non solo droga. L’indagine dei carabinieri di Caserta, che ha colpito la presunta gang di pusher guidata da Filippo Piscitelli, avrebbe fatto emergere l’operatività di 13 persone ritenute contigue al clan Massaro. E l’ipotizzata rete mafiosa si intreccerebbe proprio con il business degli stupefacenti. Al vertice di entrambe le strutture criminali, infatti, ci sarebbe la stessa persona: Piscitelli. Secondo la Dda ha fornito denaro, vetture agli altri affiliati e sostenuto le famiglie dei detenuti legati alla compagine malavitosa. Nella cosca ruoli di vertice, dice la Dda di Napoli, pure per Raffaele Piscitelli e Domenico Nuzzo. Adele Pezzella, invece, avrebbe fatto da intermediaria tra Raffaele, che si trova in carcere, e il mondo libero. Con il ruolo di gregari, invece, avrebbero fatto parte del clan il 34enne Antonio Piscitelli, l’omonimo di 27 anni, Costanza e Salvatore Piscitelli, Michele Bortone Passariello, Antonio Cimmino, Nicola De Lucia e Gennaro Iannone.
Il giudice per l’indagine preliminare Saverio Vertuccio non ha emesso misure cautelari in relazione al reato di associazione mafiosa. Non ci sono gravi indizi, ha sostenuto. A suo dire è evidente che Filippo Piscitelli sfrutti “canali camorristici” e si rifornisca di droga “presso esponenti dei clan operativi nell’hinterland napoletano”. Ma i legami con queste consorterie, “diverse tra loro per genesi e operatività territoriale, appaiono strettamente strumentali a garantirsi più canali di approvvigionamento del narcotico”. Se tali elementi “rafforzano il convincimento in ordine alla sussistenza e all’operatività di una solida organizzazione riconducibili alla famiglia Piscitelli – ha chiarito il gip – dedita al traffico di stupefacenti, gli stessi non risultano, almeno allo stato delle indagini, tali da integrare nel loro insieme la gravità indiziaria in ordine alla contestazione provvisoria di associazione mafiosa”.
Insomma, l’idea di un asse di stampo camorristico comune ai fratelli Filippo e Raffaele Piscitelli e che integrasse un sodalizio parallelo ad un’organizzazione dedita al traffico di droga, “non risulta coperta dalla necessaria gravità indiziaria, soprattutto nei termini in cui è stata sintetizzata nel costrutto accusatorio”. La Dda ha raccolto inoltro le dichiarazioni di un solo collaboratore di giustizia in merito all’appartenenza di Filippo Piscitelli al clan del ‘Picciotto’. Ed è Salvatore Laiso, ex esponente del clan dei Casalesi vicino alla fazione Schiavone.

Le accuse di cinque collaboratori di giustizia

Sono cinque i collaboratori di giustizia che ai magistrati della Dda hanno parlato dello spaccio di droga nella Valle di Suessola gestito dai Piscitelli. Nel 2016 Michele Lombardi (nella foto), esponente di spicco della mafia maddalonese, ha raccontato che aveva avuto rapporti con Antonio Piscitelli, figlio di Filippo, quando quest’ultimo era in carcere: “Colui che ha sempre coadiuvato nelle attività di spaccio la famiglia Piscitelli sia quando gestiva Antonio, sia dopo il ritorno di Raffaele, era il genero Giuseppe, marito di Michela. Peppe gestiva il negozio di prodotti per animali, smistava i clienti che si rifornivano di droga direttamente dal negozio. E’ capitato qualche volta, soprattutto quando io mi recavo a San Marco Trotti di sera, che mi sono rifornito di droga anche da Elena, moglie di Filippo Piscitelli, in quanto la piazza era sempre aperta sino a notte fonda”. Per Lombardi i fratelli Piscitelli (Raffaele e Filippo) “costituivano un unico gruppo e rifornivano di droga anche Elena Rivetti”.  Nella lista degli accusatori c’è pure Nicola Martino: “Sin dal 2003, periodo nel quale insieme a Vincenzo Micillo e Andrea De Matteo gestivo il traffico di droga, abbiamo avuti rapporti con il gruppo Piscitelli. In particolare – ha riferito nel 2012 – compravamo droga da Filippo Piscitelli ‘u cervinaro’ ed in assenza  anche dal fratello Filippo”.  

Cavallo di ritorno, nei guai Russo e Silvestri

La Procura distrettuale di Napoli ha contestato ad Antonio Russo e a Giovanni Silvestri il reato di estorsione e di ricettazione. In concorso tra loro, con minaccia e violenza avrebbero rappresentato ad un loro concittadino C.G., che per poter rientrare in possesso di un’autovettura, una Jeep Renegade, sottrattagli da persone al momento rimaste ignote, avrebbe dovuto consegnare loro 2mila euro. Insomma, un vero e proprio cavallo di ritorno. I carabinieri lo hanno documentato con intercettazioni, appostamenti e immagini ottenute grazie ai circuiti di videosorveglianza. Per la Dda i due sono anche colpevoli di ricettazione perché erano entrati in possesso dell’auto che aveva una provenienza illecita. Il gip Saverio Vertuccio per Russo e Silvestri ha deciso di non emettere provvedimenti cautelari.

L’incontro tra gli indagati e la vittima ripreso dalle telecamere di videosorveglianza

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