Il padre della Patria

La denominazione “Padre della Patria” è stata utilizzata più volte, in Italia, relativamente a varie personalità politiche nel tempo in cui la loro azione di governo coincideva con momenti epocali del Paese nei suoi centocinquanta anni di Storia unitaria. Il primo tra questi fu Vittorio Emanuele II il re piemontese che con la forzosa conquista del Regno delle Due Sicilie e quella di Roma, strappata al Papa, determinò l’unità geo politica dello Stivale. Quel sovrano fu appunto sepolto nel Pantheon con quello specifico appellativo tramandato ai posteri. Tuttavia la revisione storica dei fatti che portarono all’annessione del Meridione al regno Sabaudo, ne ridimensiona fortemente l’aureola eroica che gli cinge  il capo. Troppi massacri, troppe deportazioni e saccheggi, troppe fantasie e menzogne sull’epopea garibaldina, deteriorano e gravano sull’epica vicenda che ci fu raccontata su quel monarca. Restano  comunque il merito delle guerre di indipendenza e la sagace opera del suo primo ministro, Camillo Benso di Cavour, per perdonargli le  nefandezze e gli abusi dell’unificazione del Paese. Per dare un solo esempio di quanto sia stata manipolata la Storia dell’annessione del Regno di Napoli alla corona dei Savoia, basterà dire che i famosi “Mille” guidati da Giuseppe Garibaldi furono in effetti ben quarantacinque mila sbarcati, ad ondate successive, in Sicilia, per aver ragione dell’esercito Borbonico. In seguito un altro “Padre della Patria” fu individuato in Benito Mussolini, allorquando questi instaurò la dittatura fascista. Per la verità il Duce fu anche ritenuto l’uomo della provvidenza dopo la sottoscrizione dei Patti Lateranensi con il Vaticano, con i quali si poneva termine alla “questione romana” insorta con la presa di Porta Pia e la conquista dell’Urbe poi divenuta capitale del regno unitario. In questo caso l’apologia fu figlia del sistema autoritario imposto e della codina partigianeria dei suoi contemporanei, più che un riconoscimento storico obiettivo per il medesimo. A guerra persa con il  Belpaese distrutto ed affamato, si affacciò alla ribalta un altro “Padre della Patria”: Alcide De Gasperi. Presidente del Consiglio per ben otto volte nel periodo che va dal 1945 al 1953, lo statista trentino seppe determinare la ricostruzione della nazione, collocandola sul versante Atlantico, introducendo nuovamente l’Italia nel novero delle democrazie occidentali. Vasta e poliedrica l’opera di riforme portata avanti con l’aiuto di Luigi Einaudi come presidente della Banca d’Italia. Un passo che pose le basi per il boom economico degli anni ‘60 del secolo scorso ed il diffuso benessere tra la popolazione stremata moralmente  ed affamata dalla guerra. Fondatore della Democrazia Cristiana erede del Partito Popolare di Luigi Sturzo, che dominerà il campo politico per oltre quaranta anni di vita repubblicana, De Gasperi restituì un identità politica al Paese fin da quando, intervenendo alle Nazioni Unite a Parigi dopo il conflitto, convinse i partner europei che la vocazione della Repubblica fosse di stampo liberal democratico e che il Fascismo fosse storia morta e sepolta. Egli seppe difendere i valori resistenziali e repubblicani, la libertà e la democrazia, anche appellandosi alla comprensione ed agli interessi politici dell’Occidente. Il tutto affinché l’Italia fosse accolta con il minor danno  possibile, di nuovo tra le democrazie. Famoso l’incipit con il quale esordì dalla tribuna in quel consesso internazionale: “So che in questa aula tutto mi è contro tranne la vostra personale cortesia!!”. I fatti e la sua coerenza gli diedero ragione. Con il piano Marshall, De Gasperi ottenne ingenti aiuti dagli Stati Uniti per sfamare la gente che aveva perso tutto con la guerra, rendendo l’Italia il bastione dell’Occidente nella guerra fredda tra le due grandi superpotenze (USA ed URSS). Il tutto avendo in casa il più forte partito comunista occidentale guidato da Palmiro Togliatti amico e collaboratore, in Russia, come segretario del Comintern, di Josip Stalin. Epica la battaglia elettorale che culminò con la vittoria schiacciante della DC e dei suoi alleati, contro il  fronte unitario socialcomunista, il 18 aprile del 1948. Tra i principali sostenitori della Carta Costituzionale, il grande politico ebbe il tatto e l’autorevolezza di favorire un’intesa con tutte le forze politiche e resistenziali del tempo, indi vararla il primo gennaio 1948. Epici i suoi scontri oratori con Togliatti che lo definì, con acredine, “l’odioso Cancelliere” per rimarcarne le origini austriache nei tempi in cui il Trentino era ancora appartenente all’impero Austro Ungarico e del quale De Gasperi fu anche parlamentare in rappresentanza della minoranza italiana. Ne tralasciamo, per brevità di spazio, la storia politica interna se non per ricordarne alcuni capisaldi, la riforma agraria che aboliva il latifondo, l’istituzione  delle case popolari, la remissione all’Italia dell’intero debito da parte delle nazioni vincitrici dell’ultima guerra. Ne ricorre, in questi giorni, l’anniversario della morte: il 19 agosto. Riposa fuori le mura della Chiesa di S. Lorenzo, nei pressi del cimitero romano del Verano. Dimenticato, come padre della nostra Patria ingrata.

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