Il patto di sangue che tiene in vita il clan. La Dda: Zagaria ‘comanda’ dalla cella

Nonostante il 41 bis il boss, per l'Antimafia, "in qualità di capo ha partecipato alle attività criminali” dal 2014 al gennaio dell'anno scorso

Il carcere duro non l’ha fermato: Michele Zagaria ha dettato la sua linea al clan (clicca qui) anche dalle sbarre. Per la Dda, dal 2014 al gennaio scorso, “in qualità di capo ha partecipato alle attività criminali” della compagine camorristica. Lo avrebbe fatto impartendo ordini prima attraverso i colloqui con sorelle e cognate, poi tramite le udienze pubbliche, sfruttando i suoi video-collegamenti dal carcere di Milano ‘Opera’. Condotte, quelle di Capastorta, che sono state raccolte dalla procura e confluite in una nuova imputazione.

Le accuse

Al capoclan i pm Maurizio Giordano, Alessandro D’Alessio, Simona Belluccio e Catello Maresca contestano l’aver guidato l’associazione mafiosa fino al 2018. Accusa che gli è costato il coinvolgimento in un nuovo processo che sta affrontando, con la difesa dell’avvocato Paolo Di Furia, dinanzi al tribunale di Napoli Nord. La prossima udienza si celebrerà a marzo.

Il dinamismo criminale di Zagaria, nonostante la sua detenzione, sarebbe emerso durante l’inchiesta che ha portato alla condanna in primo grado per camorra la sorella Beatrice e per ricettazione (il presunto incasso dello stipendio del clan) Francesca Linetti, 46enne, moglie di Pasquale Zagaria, Patrizia Martino, 55enne, sposata con Antonio Zagaria, Paola Giuliano, 46enne, moglie di Aldo Nobis, e Tiziana Piccolo, 42enne, coniuge di Carmine Zagaria.

Il delfino

Fuori, ora, a rischiare di tenere accesa la macchina del clan c’è il delfino di Capastorta: si tratta di Filippo Capaldo, figlio di Beatrice. Il 42enne nei mesi scorsi ha lasciato il carcere di Bancali. Il boss lo aveva designato suo ‘erede’. E da libero adesso si ritrova in un territorio, insieme allo zio Carmine, dove le altre cosche sono state demolite da indagini e pentimenti.

Il gruppo Schiavone è stato falcidiato dal duro lavoro della Dda e a dargli il colpo di grazia, a luglio, ci ha pensato la collaborazione con l’Antimafia del primogenito di Sandokan, Nicola Schiavone. Nelle stesse condizioni versa la cosca che faceva capo a ‘o Ninno. Bloccato sul nascere anche il tentativo dei bidognettiani di riorganizzarsi con la ‘Nuova gerarchia del clan’ benedetta, secondo gli inquirenti, da Michele Bidognetti, fratello di Francesco Cicciotto ‘e mezzanotte.

Zagaria Family

Resistono, invece, i tentacoli e la struttura della cosca di Zagaria. Perché una parte del gotha di quel gruppo, costituito dai congiunti del boss, è già libera. E l’altra parte rischia di esserlo nei prossimi anni. Perché i segreti custoditi da quella compagine malavitosa non sono stati ancora rivelati (almeno non tutti): trattare con colletti bianchi e politici ‘insospettabili’ era un affare di famiglia, di sangue. Tutto passava per Michele Zagaria, i fratelli o i nipoti. Lo hanno detto ripetutamente i pentiti quando i pm hanno chiesto loro di approfondire le relazione tra la mafia di Casapesenna e businessman in odore di camorra. “Erano rapporti che curava direttamente la famiglia”, hanno dichiarato come un mantra Massimiliano Caterino, Attilio Pellegrino e Michele Barone.

Il processo

Quella di Casapesenna più che una fazione di Casalesi è una ‘ndrina: il vincolo dell’omertà è stato sostituito da quello di sangue. E per azzerarla bisogna disarticolare quel patto interno, indebolirlo. Prima di tornare a Napoli Nord (per l’imputazione di associazione mafiosa), a fine mese il boss, difeso dagli avvocati Angelo Raucci e Andrea Imperato, dovrà affrontare la requisitoria del pm Belluccio per i delitti di Michele Iovine e Antonio Bamundo.

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