Il visconte di Bragelonne

Vincenzo D'Anna

Il dibattito politico di questi giorni è tutto incentrato sul progetto di riforma della giustizia proposto dal ministro Marta Cartabia. Un progetto enfatizzato da taluni esponenti della maggioranza come decisivo per arrivare, finalmente, ad una ragionevole durata dei processi dopo che il precedente esecutivo giallorosso (capitanato da Giuseppe Conte) aveva praticamente cancellato quel principio di garanzia che andava sotto il nome di prescrizione. Un principio malamente inteso (se non politicamente strumentalizzato), ridotto alla stregua di “escamotage”, neanche fosse un cavillo utilizzato per consentire agli imputati di farla franca. Il precedente guardasigilli, il grillino Alfonso Bonafede, improvvisato avvocato di periferia, aveva imbastito una vera e propria campagna di stampo moralistico contro la prescrizione. L’intento suo e degli altri esponenti del M5S, era quello di rilanciare taluni argomenti, come il giustizialismo spinto, verso i quali la base grillina mostrava adesione, anche per superare la fase di scollamento politico ed organizzativo che aveva investito l’intero Movimento. Un espediente che Bonafede aveva ideato pur essendo alla guida dello specifico ministero di Giustizia e quindi ben consapevole che il 60 percento dei procedimenti giudiziari si prescriveva in fase istruttoria, ancor prima dunque di approdare in aula. Un dato largamente sottaciuto anche da parte di certa stampa. Così come poco si è sempre detto circa il fatto che se c’era da riformare qualcosa, questi era proprio l’istituto delle indagini preliminari. Una realtà che gli stessi magistrati conoscono benissimo ma che preferiscono tenere nascosta per mero spirito corporativo soprattutto se si tratta di pm che hanno il potere di sbattere in carcere chiunque rechi fastidio salvo poi fare le indagini e non pagare per la loro negligenza. Gira e rigira si torna al punto di partenza: la separazione delle carriere, il giudizio di merito dell’attività del giudice espresso da un organo veramente terzo, la responsabilità del magistrato ancorché sotto forma di demerito da annotare ai fini della carriera. Parliamoci chiaro: l’attuale sistema giudiziario, laddove chi opera è irresponsabile a prescindere, non può che trasformarsi nel luogo degli abusi e delle reciproche coperture. Il posto in cui si evita qualsiasi giudizio meritocratico, mettendo al bando ogni premura di dare giustizia a chi la chiede, ed evitare di liberare dalle patrie galere quelle decine di migliaia di persone in perenne attesa di giudizio. Per conciliare questi interessi di casta e ricondurre ad altre cause ciò che non funziona, cosa ci potrebbe essere di meglio che abolire una garanzia fondamentale come la prescrizione e di conseguenza il diritto ad avere un processo rapido? Ecco allora che il dibattito, complice un insipiente ed incapace ministro come Buonafede, si sposta sull’abolizione della prescrizione come se le lentezze del sistema fossero da addebitare agli imputati e non su chi quel sistema governa tra agi e privilegi. Ebbene, di tutto questo non c’è traccia nella riforma che Marta Calabria ha presentato in Parlamento: un simulacro per aggiustare, con una toppa peggiore del buco, l’improvvida riforma di chi l’ha preceduta. Si aggiunga la considerazione che è incombente un referendum sulla materia di ben più vasta portata per il quale non è difficile prevedere un largo consenso ed ecco che il quadro è bello e tracciato. Perché facciamo finta di dimenticare che, proprio su questi temi, nel 1987, il popolo italiano si è già pronunciato con un plebiscito in favore della responsabilità civile dei magistrati? Un verdetto che la consorteria dei politici e degli stessi togati, affossò in seguito, vanificando il volere espresso dai cittadini. Alla luce delle recenti rivelazioni di Luca Palamara e dell’avvocato Pietro Amara – questi ultimi già sottoposti a ritorsioni giudiziarie – sull’esistenza di una collusione organica tra certa magistratura ed alcuni ambienti del centrosinistra per occupare spazio di potere nelle principali procure del Belpaese, usare il termine “consorteria” non pare esagerato. Le indagini aperte proprio sulla scorta delle dichiarazioni rese da Amara su due campioni del giustizialismo come Piercamillo Davigo e Francesco Greco, oltre che su altri magistrati (inquisiti oppure sospettati), la dicono lunga e confermano la necessità di porre mano ad una riforma seria ed incisiva del sistema giudiziario. Viviamo in un epoca nella quale, sopiti i clamori delle denunce fuorvianti dei “manettari” di ogni foggia e colore, si spera possa vedere la luce, dopo tanta giustizia sommaria, la vera radice delle inefficienze del sistema. Come per i moschettieri del re, narrati da Alessandro Dumas, occorre aver atteso quarant’anni per conoscere la fine di una saga. Forse scopriremo pure chi siano stati il visconte di Bragelonne e la maschera di ferro.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome