Clan dei Casalesi, un imputato per l’omicidio Feola incontrò Licio Gelli

CASAL DI PRINCIPE – Conosceva Vincenzo Feola. “Era un grosso imprenditore”, ha dichiarato in aula Andrea Cusano. Ma con il raid di piombo che gli costò la vita non avrebbe avuto nulla a che fare. “Non misi a disposizione dei killer la mia abitazione”. Ad accusarlo di aver partecipato all’omicidio, invece, ci sono tre collaboratori di giustizia: Cipriano D’AlessandroCiglione’, Giuseppe MissoCarico ‘a lieggio’ e Nicola Panaro.

Cusano, assistito dall’avvocato Gabriele Gallo, è a giudizio proprio con Misso, dinanzi alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. Se ‘Ciglione’ lo ha chiamato in causa nell’assassinio di Feola, ha spiegato l’imputato durante il suo esame, è “per rancore”. “Gli dissi che era un truffatore e per un camorrista era una cosa grave”. I suoi rapporti con gli altri due pentiti, invece, si sarebbero limitati a sporadici incontri casuali. “Qualche volti li ho visti al bar, quando prendevo il caffè con Michele Iovine, capozona dei Casalesi su Caserta, assassinato nel 2008 (per la Dda su ordine di Michele Zagaria). Rispondendo alle domande del pm Graziella Arlomede e degli avvocati, è emerso anche il passato giudiziario, legato alla droga, di Cusano.

I precedenti sono saltati fuori quando le parti gli hanno chiesto se conoscesse o meno Pasquale Centore, altro collaboratore di giustizia ed ex sindaco di San Nicola la Strada che ha parlato dell’omicidio Feola. “Certo che lo conosco – ha confermato l’imputato –. Lui gestiva il traffico di stupefacenti, io ero il suo braccio destro”. Perché Cusano, negli anni Novanta, avrebbe trafficato chili e chili di cocaina. “Ero in difficoltà economiche”. Alcune sue attività di famiglia fallirono: “Cercai di occuparmi di import-export. Una volta accompagnai Centore in Spagna. Lo ascoltai parlare con una persona e mi propose di trasportare 20 chilogrammi di cocaina. Accettai”.

In quel periodo turbolento l’imputato ha ammesso di aver incontrato anche Licio Gelli. il ‘Maestro venerabile’ della loggia massonica P2. “Gli scrissi una lettera”. Una sorta di richiesta d’aiuto. “Mi chiamò e mi invitò a casa sua. Prima di entrare c’erano i carabinieri. Dovetti presentare il documento”. L’imputato, però, in udienza, non ha rivelato i dettagli dell’incontro. In relazione al traffico di narcotici Cusano è stato condannato a 17 anni di reclusione. “Ne ho scontati 14 anni. Ora faccio volontariato”.

L’inchiesta ha già determinato quattro condanne in primo grado: 30 anni di carcere per Francesco Bidognetti, difeso dall’avvocato Emilio Martino, 14 anni per Ettore De Angelis, assistito dai legali Rosario Piombino ed Enrico Accinni. Dieci anni a testa, invece, la pena decisa per Cipriano D’Alessandro e Nicola Panaro, entrambi collaboratori di giustizia, rappresentati dagli avvocati Sergio Mazzone e Rosa Gentile. L’imprenditore, titolare dell’Appia Calcestruzzi, è stato assassinato il 21 ottobre del 1992. Secondo gli inquirenti il delitto fu innescato dalla volontà dell’imprenditore di non versare la tangente ai Casalesi. I congiunti dell’imprenditore, costituiti parte civile, sono rappresentati dall’avvocato Claudio Pascariello.

Ieri, prima di Cusano, ha testimoniato anche una delle figlie di Feola. La donna, di professione ingegnere, ha chiarito che dopo la morte del padre, trovò nell’azienda una situazione debitoria enorme: “C’era un giro d’affari da 12 miliardi lire con 60 dipendenti. Ma anche 10 miliardi di debiti. Fino al giorno dell’agguato era tranquillo. Lavorava dalla mattina alla sera, come sempre”. Il processo di primo grado riprenderà a fine mese.

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