Poco mi importa di come hanno votato ieri gli attivisti a Cinque Stelle (mi sarei meravigliato se si fossero espressi per il ‘no’ al governo, sconfessando tutto il lavoro fatto nelle ultime settimane da Conte e Di Maio). Voglio invece riflettere sul significato più profondo che il voto di Rousseau trascina con sé: la rivoluzione che annuncia non è solo quella di far tornare il M5S al governo con un alleato diverso, ma di instaurare quella che secondo Casaleggio e soci sarebbe la ‘democrazia diretta’. Ma non è così. Innanzitutto perché la democrazia diretta è un’altra cosa. E comunque ci arrivano tardi: ci aveva già pensato un certo Marco Pannella, usando in modo massiccio quello che la Costituzione italiana mette a disposizione dei cittadini, e cioé il referendum (un’arma costituzionale che Pannella e i suoi Radicali hanno poi amplificato a suon di battaglie civili nelle piazze e con l’omonima radio). Piuttosto quella di Rousseau è una ‘democrazia digitale’. I Cinque Stelle la chiamano ‘diretta’ perché fanno votare direttamente gli attivisti, ma resta inevitabilmente ‘digitale’ e cioè esposta a tutti quei rischi insiti nella ‘rete’: è per esempio possibile scoprire l’identità di chi ha espresso il voto (cosa invece tutelata dal ‘segreto dell’urna elettorale’) e soprattutto c’è sempre il dubbio che alla fine qualcuno possa manipolare l’esito finale della votazione. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca (Andreotti docet). Nessuno può accusare Casaleggio e soci di essere dei truffatori, ma allo stesso tempo non è giusto pretendere fiducia totale in un gruppo imprenditoriale privato (e quindi portatore di interessi privati e giustamente teso a far quadrare i propri bilanci). Pannella si affidava ai referendum per far esprimere i cittadini su temi importanti e per portare a compimento svolte storiche per il Paese (tipo il divorzio, l’aborto e altri argomenti cruciali sui quali ognuno può e deve pensarla come vuole); Casaleggio si affida a internet per dare un indirizzo di governo al Movimento Cinque Stelle. Gli eventuali danni rimarranno limitati fino a che la sua democrazia digitale rimarrà ad esclusivo appannaggio ‘interno’, ma non è accettabile che il voto digitale diventi un nuovo modello per la democrazia italiana. Almeno non fino a che internet sarà esposto agli attacchi degli hacker e alle potenziali manipolazioni di chi è proprietario privato di una piattaforma con aspirazioni pubbliche.