La Papessa

Come un fulmine a ciel sereno, arrivano sul tavolo del direttore generale della Rai le dimissioni di Lucia Annunziata, la giornalista che per anni è stata una delle colonne dell’informazione orientata (decisamente) a sinistra. Polemica quanto faziosa, la conduttrice di “Mezz’ora in più” non ha mai rinunciato a fare mostra del suo pensiero politico, soprattutto quando i suoi ospiti erano schierati a destra. Lo stesso tratto distintivo che ha mantenuto inalterato sia quando ha diretto il giornale online Huffingtonpost sia quando è stata inviata per Repubblica ed il Corriere della Sera ed infine quando ha diretto il Tg3, l’ex “Tele Kabul” di Alessandro Curzi, comunista dichiarato. Insomma: stiamo parlando di un giornalismo d’assalto, che però assaltava quasi sempre opere ed omissioni degli…avversari. Sia pur lavorando per organi di stampa di natura pubblica, come teoricamente dovrebbe essere mamma Rai, gli Annunziata e i Curzi non hanno fatto mai mancare ai propri ascoltatori la sensazione concreta che in ogni loro parola ci fosse l’inclinazione all’essere “di parte”. Parliamoci chiaro: di apologeti della faziosità ne abbiamo visti diversi, da Santoro alla Gruber, dalla Dandini a Scanzi, da Floris a Gomez, da Travaglio alla Berlinguer, da Gomes a Furiò Colombo, da De Angelis a Milano : missionari dotati dell’indefettibile verità, piegata ad arte, più o meno paludata e poi propinata al pubblico degli affezionati quasi tutti elettori o simpatizzanti di sinistra. Certo si potrebbe dire che anche la destra ha le sue “bocche da fuoco” su giornali e telegiornali, ma nessuno tra questi ha mai assunto la veste del moralizzatore o del depositario di virtù immarcescibili, né ha mai mostrato un sussiego oracolare e la pervicace determinazione nell’esecrare a modo di scandalo ogni stormir di foglia in campo avverso. Resta famoso lo scontro tra Annunziata e Berlusconi con quest’ultimo che lascia l’intervista per le continue provocazioni della giornalista, sotto forme di domande che avevano un lungo prologo introduttivo volto a mettere in cattiva luce il Cavaliere. Insomma la “Papessa” è tra quegli operatori dell’informazione che hanno applicato all’incontrario il famoso motto anglosassone “I fatti al di sopra delle opinioni”. A dire il vero la giornalista originaria di Sarno non ha, tecnicamente, da dimettersi dalla Rai Tv perché non risulta essere una dipendente di quell’ente statale, bensì di una società di servizi che produce i programmi per l’azienda di viale Mazzini. Sì, avete capito bene: gli Annunziata fanno parte di quella trafila di professionisti che predicano in favore dello statalismo ma poi si guardano bene le spalle stipulando, guarda caso, contratti di tipo privatistico che non si prestano ad essere sottoposti ad ostensione come quelli di tutti i dirigenti Rai. Una vecchia e tipica storia degli ex comunisti in cachemire, che si interessano delle sorti dei diseredati ed aborrono le disuguaglianze, solo però dopo essersi ben muniti di retribuzioni e sponsorizzazioni adeguate, anche attraverso cambi di rete e di opportunità. Ma quel che è peggio è che nel carrozzone statale, che ha costi per 2.600 milioni di euro dei quali circa 2.000 tratti dal canone annuale pagato dal cittadino, una buona parte dei programmi viene realizzata da ditte esterne, che spesso fanno capo a persone che sono nel giro politico per così dire più idoneo. Chissà cosa mai produrranno i 2.000 giornalisti assunti, dei quali un quarto con funzioni di dirigente (il doppio della BBC!!), nel mentre l’azienda paga fuori quel che dovrebbe produrre dentro!! Prendete i telegiornali Rai: sono una fotocopia gli uni degli altri, riproposti identici nelle varie edizioni della giornata. E’ questo il contesto nel quale la “Papessa” ha operato? E’ da tale pulpito che sono venute le sue intemerate contro la mala politica degli altri, col sopracciglio alzato e qualche gesto imperativo di stizza, allorquando la vittima predestinata si difendeva adeguatamente? A ben guardare questi eroici operatori della stampa vista da sinistra, con tanto di spocchia e moralismo incorporato, hanno galleggiato in un mare che certo non era adamantino, tra i cento compromessi e le mille raccomandazioni. Allora sovviene il dubbio che siano sempre state delle tigri di cartapesta o meglio delle icone farlocche costruite ad arte da quel versante che le ha sempre additate come diverse e migliori degli altri. Anche in un’altra storia, data per vera e per buona (nel senso che non fu mai seriamente documentata), nella quale c’entrava una Papessa, la verità finì per mescolarsi con il mito. In questo caso la Papessa si chiamava Giovanna e si era a metà del IX secolo. Ebbene la leggenda narra che costei divenne Papa sotto il nome pontificale di Giovanni VIII. Uno scandalo per quell’epoca buia. Un semplice paragone s’intende perché Giovanna, una volta smascherata, finì lapidata dalla folla inferocita (o, secondo altre versioni, morì al momento di dare alla luce il figlio che aveva in grembo o forse, ancora, fu rinchiusa in convento). Cosa che certo non capiterà alla nostra giornalista che, con un altro editore, continuerà a godere dei privilegi della casta. Semel Papessa, semper icona.

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