La qualità della vita non si può misurare, la politica invece sì

Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l'università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Come ogni anno si ripete il rito della divulgazione dei dati circa la qualità della vita nelle province italiane. Come sempre si classificano ai primi posti province piccole e del Nord (Bolzano prima) poi quelle del centro Italia e, in fondo alla classifica quelle del Sud. Napoli e la sua provincia sono terzultime, retrocesse secondo criteri calcistici. Insomma, perfino peggio di ciò che accade, appunto, nel campionato di Calcio dove Roma e Napoli riescono, sia pure a fatica, a gareggiare. Uno stanco rito, inutile o fastidioso? Per tanti aspetti si. Pensare che, in assoluto, si vive meglio a Bolzano che a Roma, a Belluno che a Napoli ma anche a Milano può far ridere naturalmente. Solo pochi giorni fa un’indagine sull’uso dei farmaci antidepressivi aveva mostrato come Napoli fosse la città i cui cittadini ricorrevano meno a quelle cure per cui se ne è dedotto che è la città dove si è più felici! In questo caso ultima arrivava la povera Toscana. Come è, dunque, la qualità della vita a Napoli? Ogni anno classifiche simili si pubblicano per le Università. Seguono, immancabilmente, le polemiche e perfino i sospetti di eventuali brogli tesi a favorire questo o quell’ateneo per accaparrarsi iscritti e finanziamenti. Manco a dirlo le Università del Mezzogiorno occupano la parte bassa delle classifiche. Diciamolo subito: sono classificazioni che non hanno valore scientifico per il semplice fatto che questo tipo di misurazioni puramente quantitative colgono soltanto una parte della realtà. Non si colgono fattori specifici, condizioni particolari che solo la storia, la filosofia, l’arte possono cogliere. Il Napoli calcio ha vinto gli scudetti che ha vinto quando aveva Maradona non per la qualità dei campi da gioco, degli allenamenti, delle cure sanitarie e così via. Chi può misurare la qualità dei professori di una Università, piccola o grande che sia? Come misurare la felicità di un cittadino di Roma, di Cuneo o di Siracusa? Sono obiezioni serie dalle quali non si può prescindere. Il punto, infatti, consiste nel valutare, innanzitutto, i criteri scelti per stilare le classifiche. Scelte sempre discrezionali motivo per cui, come si è detto, non è scorretto attribuire a simili procedimenti valore di oggettività, di verità, di scientificità. Ciò detto e chiarito bisogna convenire che questi tipi di analisi qualche valore lo hanno. Un valore di orientamento. Vediamo i criteri scelti dalla ricerca svolta da La Sapienza per Italia Oggi. Sono nove le griglie dell’analisi: affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero e tenore di vita, con 21 sotto dimensioni e 84 indicatori di base. Discutibili, ovviamente. Il sistema salute, ad esempio, è misurabile con molta più precisione del disagio personale o della qualità del tempo libero. Ma un’indicazione la danno: le province che si classificano in basso sono quelle amministrate peggio. I criteri scelti non misurano la qualità della vita ma la qualità dell’amministrazione politica. Senza voler strumentalizzare i dati (la politica si intreccia con tanti fattori storici) un segnale negativo per il Sud è innegabile.

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