Un grande filosofo del ‘900 scriveva che la vita si comprende ed interpreta procedendo all’indietro, ancorché la si viva andando in avanti. Molto più semplicemente: la comprensione degli eventi diventa piena e consapevole solo dopo averli vissuti. Ne deriva che la politica che governa gli eventi sociali, nel suo complesso, può essere interpretata solo attraverso la piena conoscenza del passato. Partendo da questa evidenza pratica, inalterabile ed ineludibile, si potrà giudicare la bontà o meno delle azioni e delle proposizioni che hanno caratterizzato l’agire dei singoli individui ed il complesso dei fattori sociali che li riguardano. In estrema sintesi vale per tutti la massima marxiana che la politica altro non è che il governo degli uomini camuffato dal governo delle cose. Solo guardando alla Storia si potrà dunque capire quanto sia stata fallace, oppure proficua, una tale idea o un determinato progetto. Più vasti e diffusi, infatti, sono gli interessi da governare, più difficile diventa organizzare le proposte da portare a risoluzione nelle aule parlamentari. Tuttavia, di questi tempi, non molti hanno cultura per poter verificare quale sia il portato cognitivo del passato. In questo senso il pregresso politico rappresenta i grani di un rosario con i quali occorre che tutti facciano i conti. Certo la coerenza non paga elettoralmente e ben pochi sono coloro i quali seguono la politica con assiduità tale da poter poi esercitare una memoria capace di poter discernere e costruire un paradigma logico e coerente tra passato e futuro. E’ questo il caso della riforma dello Stato, sulla quale ci siamo più volte soffermati sulle colonne di questo giornale. A tal proposito non c’è chi non si lamenti della burocrazia anonima ed irresponsabile che spesso diventa una camicia di Nesso che imprigiona ogni tentativo profuso per poter reclamare ed ottenere un diritto, un servizio qualificato oppure esercitare una prerogativa già statuita. Parimenti vani si sono rivelati, finora, gli sforzi per ammodernare la pubblica amministrazione, liberandola dall’arbitro dei funzionari, originato, quest’ultimo, sia dalla loro pavidità, sia dall’idiosincrasia ad assumersi una responsabilità per dirimere un percorso praticabile nella foresta di mille leggi e normative, nonché da quanti fanno tesoro di ogni intoppo per malversare il malcapitato di turno chiedendo vantaggi personali e regalie. Tutto questo nonostante la varie leggi adottate con il proposito di semplificare ed efficientare l’esistente. Un vano proposito che, all’atto pratico, ha avuto come risultato quello aumentare il carteggio da esibire, documenti, pareri ed autorizzazioni. Insomma: più che uno Stato moderno ed amico, quello che ci si para innanzi è un Leviatano che riduce il cittadino contribuente in un vero e proprio suddito e vittima di quel mostro immaginato dal filosofo Hobbes. Si aggiunga a questo la farraginosità con la quale il Parlamento elabora le leggi, la dispersione del potere decisionale e delle conseguenti responsabilità, aggravata ormai dalla triste abitudine dell’esecutivo di proporre le norme incartandole in decreti ministeriali (che poi le Camere debbono solo ratificare), ed ecco che il quadro sarà bello e fatto. Un quadro desolante, ovviamente, che semina sospetto e sfiducia in quanti, comunque, provano a cercare la soluzione dei problemi. Nel mentre lo Stato si inchina ai magistrati emanando leggi di dubbia costituzionalità come quella del cosiddetto traffico di influenze . Una norma, quest’ultima che nasce certo per stroncare il malaffare ma che è stata immaginata per una società perfetta ed un potere centrale efficiente, capace, cioè, di garantire il pieno esercizio dei diritti e delle prerogative spettanti al cittadino. Invece, in mezzo alla selva oscura del pantano burocratico e legislativo, oggi come oggi, chi sollecita una raccomandazione, che quasi sempre presuppone, la ragione di un denegato diritto, si può ritrovare imputato di quel reato, insieme a chi si è prestato a venirgli incontro, anche disinteressatamente. Appare lapalissiano, insomma, che occorra riformare lo Stato e che per farlo serva cambiare le regole e la struttura del medesimo e delle sue stesse istituzioni. In soldoni: bisogna assolutamente avviare la riforma della carta costituzionale. Ma non tutti pare vogliano dare priorità a questa essenziale e vitale necessità. Non a caso all’invito del governo per una discussione preliminare, il Pd ha risposto che l’annunciata riforma nascondeva solo un tentativo di sviamento del Governo dai veri problemi del paese, come la scuola e la sanità. Un maldestro, tentativo, della opposizione, di ributtare la palla del rifornismo nell’angolo polveroso delle cose non necessarie. Insomma una aperta contraddizione rispetto al suo stesso passato di partito sedicente progressista. Sovviene alla mente la favola di Esopo della rana e dello scorpione, quest’ultimo non tradisce la sua vera natura e punge a morte la rana ( le riforme ) che pure lo aveva tratto in salvo.