La resa di Schiavone, la gioia dei pm che piegarono il boss

CASAL DI PRINCIPE – La resa di Sandokan certifica il successo dello Stato sulla camorra. Si tratta, però, di un successo importante, potenzialmente decisivo, ma che deve aprire la strada a un nuovo salto di qualità nella lotta alla malavita organizzata. I magistrati che i Casalesi li hanno affrontati in prima linea concordano sul fatto che il pentimento di Francesco Schiavone sia un punto di svolta. Perché, soprattutto sul legame con i colletti bianchi, molto resta ancora da sapere. “Credo che siamo giunti ad un risultato importante, che certifica la vittoria dello Stato – ha dichiarato ad Adnkronos Raffaele Cantone, capo della Procura di Perugia, che Sandokan lo ha affrontato in Tribunale – Adesso la speranza è che Schiavone possa rendere dichiarazioni che permettano agli inquirenti di far luce su episodi che, ancora oggi, restano oscuri. Ma soprattutto, che possa parlare dei suoi rapporti con la politica e l’imprenditoria della provincia di Caserta, anche in riferimento anche alla Terra dei fuochi”. Altro pm che i Casalesi li ha sfidati in prima persona è Catello Maresca: “Il pentimento di Francesco Schiavone è un segnale formidabile. La mafia casalese, che è stata combattuta in maniera molto efficace a partire dagli inizi del 2000, non esiste più. E questo è frutto dei grandissimi risultati della stagione antimafia la cui prima importante fase è culminata con la cattura di Michele Zagaria, all’epoca capo indiscusso del clan e n 2 dei latitanti più ricercati d’Italia, dopo Matteo Messina Danaro, preso nel dicembre 2011 dopo 16 anni di latitanza. Quello straordinario gruppo di lavoro, fatto da personale amministrativo, forze di polizia e magistrati, ma anche da tantissima gente comune, cittadini perbene di quelle terre, ha sancito il declino inesorabile della mafia casalese. Quel sistema investigativo, definito modello Caserta, ha raggiunto in poco tempo risultati straordinari, mettendo fine alla latitanza dorata di più di cinquanta tra capi ed organi apicali del clan e sequestrando centinaia di milioni di euro di beni. La lotta alla criminalità organizzata resta, però, ancora una priorità assoluta e va condotta con determinazione e strategia, sia sul fronte giudiziario che su quello di prevenzione e di diffusione della cultura antimafia”. L’impegno del passato che continua nel presente e che guarda al futuro. Per vincerla davvero quella guerra. E un nuovo protagonista è il capo della Procura di Napoli, Nicola Gratteri: “A lui va un ringraziamento particolare. E’ stato capace in pochissimo tempo di lasciare il segno e di valorizzare anche in Campania la sua straordinaria esperienza antimafia”, ha aggiunto Maresca. “E certamente un evento di grandissima importanza, perché Schiavone è stato il capo del clan dei Casalesi, un irriducibile. E’ stato il camorrista che, nel corso di tutto il processo Spartacus, veniva considerato da tutti i collaboratori di giustizia come il capo carismatico dei Casalesi, quello che era stato sempre coerente con le regole di camorra. Da lui – ha aggiunto l’ex procuratore nazionale antimafia, oggi parlamentare M5S, Federico Cafiero De Raho – si potranno ambire informazioni di grande rilievo, soprattutto sulla rete imprenditoriale, che costituiva i cartelli utilizzati dai Casalesi per potersi infiltrare negli appalti pubblici. E Schiavone potrebbe anche riferire della cassaforte del clan, che a tutt’oggi non è stata trovata. E ancora sul traffico dei rifiuti e sul disastro ambientale che ha determinato il clan, potrebbe svelare dove sono stati sversati realmente i rifiuti tossici”. Raffaello Magi, giudice di Cassazione e protagonista della stagione del maxiprocesso Spartacus, spera in importanti rivelazioni da parte di Sandokan: “Questa è una giornata simbolica, perché Francesco Schiavone è stato un capo carismatico. La sua scelta di pentirsi avrà riflessi anche sull’assetto della criminalità organizzata attuale nel Casertano e non solo. Due aspetti sono importanti della sua collaborazione: il primo, la rete di relazioni del clan precedenti al suo arresto, quelle tra il 1993 e il 1998, rapporti che non vengono raccontati ai livelli inferiori con i mondi dell’impresa e delle istituzioni, una rete più riservata e tenuta nella conoscenza solo dei boss. In questo modo avremmo una memoria storica. L’altro aspetto è quello di una verifica sul regime di carcere duro. Ci consentirebbe cioe’ di capire se, nonostante il 41 bis, ha avuto contatti con persone all’esterno ed e’ riuscito o meno a orientare le strategie operative dei Casalesi”, ha concluso Magi.

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