La struttura targata Nicola Schiavone per infiltrarsi negli appalti delle Ferrovie

Il casalese sarebbe riuscito a fare aggiudicare i lavori a ditte a lui vicine corrompendo alcuni dipendenti di Rfi

CASERTA – Per mettere le mani sugli appalti di Rete ferroviaria italiana serviva organizzazione, metodo, uomini di fiducia, grande abilità relazionale e disponibilità economica per corrompere (all’occorrenza) i funzionari della società. Insomma, era necessaria una struttura che lasciasse davvero poco al caso. E Nicola Schiavone, sostiene la Dda, ha mostrato tutta la sua abilità prima a costruirla, mattone dopo mattone, e poi, nel silenzio, ad alimentarla almeno fino al 2019. E “con funzioni i organizzatori”, stando alla tesi dell’accusa, hanno fatto parte della sua gang anche Vincenzo Schiavone, il fratello, Carmelo Caldieri e Claudio Puocci. Un gradino sotto nell’ipotizzata compagine criminale, Luca Caporaso, Sabina Visone, Vincenzo Bove e Umberto Di Girolamo, ritenuti alla dirette dipendenze dei vertici, addetti all’esecuzione degli ordini di Nicola Schiavone. A rappresentare il braccio operativo della gang, Crescenzo De Vito e Ciro Ferone: si tratta di imprenditori titolari di imprese qualificate in Rfi per le quali Schiavone svolgeva formalmente il ruolo di consulente. I due attivavano dei veri e propri cartelli ed associazioni di imprese grazie ai quali riuscivano a controllare le aggiudicazioni degli appalti banditi da Rfi.
La cricca sfruttava anche il know-how di Carlo Pennino e Guido Giardino, rispettivamente consulente fiscale e consulente legale. Tutto il meccanismo, però, se non avesse avuto un gancio interno in Rfi, avrebbe funzionato poco e male. E a rappresentarlo, affinché le procedure filassero lisce e in direzione delle ditte che avrebbe voluto Schiavone, sarebbe stato principalmente Pierfrancesco Bellotti. Dal giugno 2015 al luglio 2018 è stato responsabile delle Tecnologie ambito Direzione produzione. E sfruttando questa mansione, avrebbe avvantaggiato proprio le aziende indicate da Schiavone “sia nell’esecuzione dei contratti, che creando le occasioni per la stipula di ulteriori contratti, ovvero – ha messo nero su bianco la Procura – anche solo fornendo notizie riservate interne all’ente”. In cambio di cosa? “Prebende di varia natura e del supporto qualificato dello Schiavone nelle progressioni in carriera”. Bellotti non sarebbe stato il solo ‘interno’ ad aiutare il casalese. Lo avrebbero fatto anche Paolo Grassi, direttore della Direzione ingegneria di produzione dal marzo 2016 all’aprile 2019, Massimo Iorani, inquadrato nella Direzione acquisti-direttore ad interim della Direzione lavori, Giulio Del Vasto, capo della Dtp di Ancona fino al 2019 e ad oggi della Dtp di Napoli, e infine Giuseppe Russo, dipendente Rfi incardinato nella Dtp di Napoli che avrebbe svolto il ruolo di direttore dei lavori di alcune committenze di interesse di Nicola Schiavone.

Nel complesso i presunti ganci in Rfi del casalese (molti dei quali messi fuori azienda già dopo le perquisizioni di aprile 2019, che hanno rappresentato la prima fase dell’inchiesta), avrebbero “forzato meccanismi procedurali interni a Rete ferroviaria relativi alle gare d’appalto, violato le norme inerenti le gare”, con lo scopo di avvantaggiare le ditte legate all’imprenditore dell’Agro aversano e garantito “l’ottenimento non dovuto per i costi aggiuntivi sopraggiunti sostenuti nella fase esecutiva dei lavori, ossia il cosiddetto sesto quinto, ovvero attraverso atti integrativi contrattuali, senza che ci fosse una reale esigenza di ottenere il predetto beneficio”.
Rfi, poco dopo il blitz dei carabinieri di ieri, con una nota ha fatto sapere di aver “sospeso in via cautelare i dipendenti coinvolti che risultano ad oggi ancora in organico”. Altri quattro ex dipendenti, raggiunti da provvedimenti restrittivi, e già in passato oggetto di indagine della stessa Procura, erano già stati licenziati. “La società – ha chiarito la stessa Rfi – si ritiene parte lesa”.

Soldi, gioielli e vacanze per i funzionari

Il brand del clan è pesante. Ma da solo, per far girare gli appalti come vuoi, anche se di cognome fai Schiavone, non basta. Soprattutto se ti serve farlo fuori provincia. E così bisogna percorrere altre strade. E quelle della corruzione, purtroppo, spesso ti mettono in condizione di ottenere ciò che vuoi con relativa facilità. Nicola Schiavone e i suoi presunti collaboratori e prestanomi, ovvero Luca Caporsao, Vincenzo Bove, e Carmelo Caldieri, per convincere i funzionari di Rfi a piegarsi alle loro istanze, avrebbe sborsato denaro e regali vari. Paolo Grassi, ha ricostruito la Dda, avrebbe ricevuto un paio di gemelli d’oro di Cartier dal valore di 600 euro, Giuseppe Russo e Pierfrancesco Bellotti, secondo l’accusa, hanno ricevute “periodiche somme di denaro in contanti di circa mille euro mensili”, Massimo Iorani, invece, avrebbe beneficiato di alcuni soggiorni alberghieri e spese accessorie per un totale di 9.110 euro. E per tutti (o quasi) il benefit aggiuntivo delle parole che Schiavone spendeva, stando alla tesi degli inquirenti, presso i vertici di Rfi per garantire degli scatti di carriera. Tutto ciò sarebbe accaduto fino all’aprile 2020. Nel settembre 2018, gli inquirenti ritengono che si era consumato un altro episodio di corruzione. Iorani, in veste di responsabile della ‘Direzione acquisiti’, fornì a Schiavone documenti riservati e suggerimenti sulle modalità di presentazione di un ricorso al Tar da parte di Macfer, società di interesse dell’imprenditore di Casal di Principe, per l’affidamento del servizio di manutenzione lungo le linee ferroviarie. In cambio avrebbe trascorso due soggiorni alberghieri presso lussuose strutture della penisola sorrentina.
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