Politico, padrino del figlio di Sandokan e faccendiere: il profilo di ’o munaciello

Le accuse di Giuseppina Nappa: “Ha usato il lievito madre che tanti anni fa preparò mio marito” Il racconto del primogenito del capoclan: “Facilitatore come Bisignani. La sua fortuna grazie a papà”

CASAL DI PRINCIPE – La loro carriera imprenditoriale inizia negli anni Ottanta. I fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone avrebbero lavorato fianco a fianco, dice la Dda, a Francesco Schiavone Sandokan, impegnandosi prima nei settori dell’elettricità e dei telefoni e poi delle ferrovie. E nel curriculum di Nicola, nato nel 1954, c’è anche uno spazio dedicato alla politica. Nel 1982, da primo degli eletti tra i candidati della Democrazia Cristiana, a Casale andò a ricoprire il ruolo di assessore comunale con delega ai Lavori pubblici. Poi venne travolto con il germano dal processo Spartacus, dal quale però ne uscì con un’assoluzione (Vincenzo fu condannato). Nonostante il verdetto favorevole, Nicola abbandonò le ditte con cui aveva dato il via alla sua carriera imprenditoriale per mettere in campo, hanno ricostruito gli investigatori, una strategia del tutto diversa: diventare il coordinatore di una schiera di imprese affidate a prestanome da guidare a distanza (da Napoli, dove si era trasferito). A parlare dei fratelli Schiavone alla Dda sono stati numerosi collaboratori di giustizia. Tra gli ultimi pentiti a ‘cantare’ c’è Walter, figlio del capoclan Sandokan. “Un imprenditore che certamente aveva una società di fatto con mio madre era Nicola Schiavone detto ‘o munaciello, fratello di Enzuccio ‘o trick, che noi chiamavamo zio Nicola, anche in ragione di una lontana parentele con mio padre. Ho un ricordo di questo zio – ha riferito Walter – perché almeno fino all’arresto di mio padre frequentava abitualmente la nostra abitazione ed anche il luogo della latitanza di papà. […] Mi viene in mente a proposito di zio Nicola che nel corso di un colloquio con mio padre all’Aquila (dove il boss all’epoca era recluso, ndr), presenti anche mia madre e Carmine, ci chiese se lo zio si facesse vedere, nel senso se lo stesso si facesse carico della famiglia nella circostanza rivendicando la società di fatto con lo stesso al quale certamente si riferì chiamandolo ‘o munaciello. Disse anche che se fosse impazzito, il nome di questi sarebbe stato il primo che avrebbe fornito”. A far ritenere alla Procura di Napoli che il legame tra Nicola Schiavone e la cosca Sandokan fosse forte ci ha pensato pure un’intercettazione nel carcere di Parma, dove proprio Sandokan, capoclan dei Casalesi, invitava una delle sue figlie, prossime al matrimonio, a rivolgersi a ‘o munaciello per qualsiasi tipo di esigenza economica. A quella conversazione si aggiungono le dichiarazioni rese dal figlio del boss, Nicola, collaboratore di giustizia dal 2018, battezzato dall’omonimo imprenditore ed ex assessore. Il pentito (assistito dal legale Stefania Pacelli) ha parlato del suo padrino come di un faccendiere, un facilitatore (lo ha paragonato a Luigi Bisignani), e ha sostenuto che la sua crescita economica e sociale era legata agli aiuti che il papà Sandokan gli aveva fornito: “Ricordo che in occasione del mio matrimonio mi regalò 20mila euro in contanti”. Dell’uomo d’affari ha parlato anche la moglie del capoclan, Giuseppina Nappa: “Nicola Schiavone usa il lievito madre che tanti anni fa ha preparato mio marito”.

L’esercito di imprese al servizio di Apicella per investire e riciclare

L’ala militare del clan , grazie al coraggio e all’impegno di investigatori e magistrati, è stata spazzata via. Quell’esercito di affiliati che terrorizzava la provincia non c’è più. A tener vive le ceneri dell’organizzazione mafiosa, però, ci hanno pensato gli imprenditori collusi. E tra loro ci sarebbero Nicola e Vincenzo Schiavone. Per la Dda di Napoli sono veri e propri soci di fatto di Walter e Francesco Schiavone Sandokan. Grazie agli appalti che ottenevano nel settore dei lavori e dei servizi ferroviari gestiti da Rfi, avrebbero assicurato un sostegno economico costante ai vertici della cosca sia nel periodo di libertà che in quelli di detenzione mediante rapporti riservati con le rispettive famiglie. Claudio Puocci, sostiene la Procura, è stato un loro uomo di fiducia: curava i rapporti con le ditte affidate a prestanome e appoggiava i capi della fazione Schiavone prestandosi anche ad ospitare latitanti e riunione tra affiliati.
Non solo gli Schiavone. Nella rete di uomini d’affare che avrebbero garantito aiuti al clan, per la Procura c’è anche Dante Apicella, già condannato per mafia nel processo Spartacus: messosi alle spalle quel procedimento giudiziario, avrebbe continuato a delinquere effettuando investimenti ed operazioni di riciclaggio e gestendo appalti in nome del clan. Operazioni complesse che non avrebbe svolto in solitudine: a dargli una mano ci sarebbe stato il fratello Vincenzo, impegnato soprattutto a curare interessi economici negli appalti pubblici attraverso prima la società Tecnorestauri e poi, quando quest’ultima venne raggiunta da interdittiva antimafia, ricorrendo ad una rete di aziende affidate a ‘teste di legno’. Della cricca mafiosa avrebbe fatto parte anche Pietro Apicella, figlio di Vincenzo e nipote di Dante. Uomo di fiducia di quest’ultimo, hanno accertato gli inquirenti, sarebbe stato Francesco Salzillo. A comporre la pattuglia di uomini d’affare che mettevano a disposizione le loro ditte erano Gennaro, Salvatore Giancarlo, Vincenzo,. Maria e Luigi Diana. Antonio Magliulo avrebbe pure offerto “un contributo continuativo al clan” con il cambio assegni e mettendo a disposizione i locali della sua azienda, la Edi Ma.Scia, a Dante Apicella e ai suoi familiari per gli incontri con gli altri affiliati. I quattordici sono indagati per associazione mafiosa. Un passo fuori l’organizzazione, invece, sarebbero stati Luigi Schiavone, ritenuto gestore di fatto di società riconducibile a Dante Apicella, tra cui la Campania Appalti e la Edil Tecnosystem 2003. Stessa posizione per Augusto Gagliardo, che però si sarebbe occupato principalmente della compravendita di porfidi e cubetti provenienti dalla Sicilia, Fioravante e Mario Zara, gestore di Appalti Italia, Luigi Belardo, considerato intraneo al clan Moccia e guida delle ditte Italiana Pietre e Campania Pietre. Avrebbero dato supporto ad Apicella con le loro ditte anche Giuseppe Fusco, titolare della Fbt ed Edil Kronos, Angelo Massaro, rappresentante della Impredil, poi confluita nel Gruppo A2, Antonio e Luigi Petrillo e Luigi Russo. Agli undici la Dda contesta il reato di concorso esterno al clan dei Casalesi.

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