L’atto di Fedez

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Infuria in queste ore la polemica intorno alle esortazioni che il signor Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, ha espresso nel corso del consueto concerto che le organizzazioni sindacali organizzano il Primo Maggio, in occasione della festa dei lavoratori. Le espressioni proferite dal rapper italiano contenevano esplicite critiche nei confronti del leader della Lega Matteo Salvini, individuato come il responsabile politico che, al Senato, vorrebbe affossare la legge a firma del deputato Alessandro Zan, attivista del movimento Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisex, Transgender), eletto nelle fila del Pd.

Una norma con la quale si prevedono aggravanti specifiche per i crimini d’odio e le discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili. Per quanti non lo sapessero, si tratta, a ben vedere, di riproporre, sia pure in forma più “marcata”, i contenuti di una legge già esistente fin dal 1993 e che porta la firma dell’allora ministro degli Interni, il senatore democristiano Nicola Mancino.

Orbene sullo specifico argomento la si potrà pensare come si vuole, ma credo che già in quella norma vecchia di quasi trent’anni, ci fosse un fondamento di eticità: la repressione dei crimini d’odio e dell’incitamento all’odio. Quali siano i motivi per inasprire una norma già abbastanza punitiva non è dato sapere. Si può certo supporre che si tratti dell’iniziativa di un parlamentare che, essendo molto impegnato nel mondo delle associazionismo, abbia voluto distinguersi ulteriormente.

Tuttavia ci troviamo, ancora una volta, in quella deprecabile fattispecie, ormai un’abitudine culturale e politica, che pensa di condizionare oppure modificare la società, attraverso il codice penale. Insomma, prevale, anche in questo caso, l’idea balzana che l’inasprimento delle pene comporti automaticamente una maggiore sicurezza sociale e la modifica dei valori, delle opinioni e l’agire dei cittadini. Una visione culturale che, paradossalmente, somiglia molto da vicino a quella di Salvini e di tutti coloro i quali, attraverso lo Stato coercitivo, credono di poter cambiare alla radice gli umani comportamenti.

Nessun garantista e nessun liberale, degno di questo nome, può convenire sull’uso della legge e delle pene come correttivo di mentalità e di comportamenti sociali che vanno corretti con ben altri strumenti. Se affidiamo queste considerazioni non al legittimo ed opportuno confronto nelle aule parlamentari, ma alle urla di un rapper, non faremo passi avanti nella comprensione di tutti gli aspetti della questione. Nessuno mai si accorgerà, ad esempio, che talune politiche dichiaratamente alternative, risultano, all’opposto, avere degli estremi che si toccano.

Per capirci: Salvini propende per l’ergastolo ostativo (quello che non ha mai fine), per il carcere duro: idee, le sue, che collimano con la categoria di pensiero di quanti chiedono l’inasprimento delle condanne per i reati di omofobia, transfobia e lesbofobia. Entrando poi nel merito della legge Zan, va detto che questa contiene una palese contraddizione. Essa infatti si conclude con un’espressione aulica, che fa salva la libera manifestazione di volontà e le opinioni di coloro che non approvano l’omosessualità. Insomma: la linea tra il sublime ed il ridicolo è brevissima.

Si potrà manifestare riprovazione ma senza offendere, denegare la bontà dei diritti e delle istituzioni riservate agli omosessuali, se espressi in termini civili ed ortodossi. E se scappa un aggettivo, un avverbio, un gesto nel corso di quanto assentito? Si tollera la libertà costituzionale del poter esprimere le proprie opinioni oppure si procede col codice penale? La verità è che questa legge, come tante altre, non intende solo affermare diritti che prima erano denegati, ma vuole introdurre, nell’opinione pubblica, taluni modi di pensare sulla scorta di sillogismi semantici e giuridici, ovvero accreditare come ortodossi e leciti solo taluni comportamenti.

Un altro tassello da aggiungere a quel mosaico ideologico che si chiama “politicamente corretto”, fatto di concetti, parole, espressioni, comportamenti in linea con le tesi sostenute dalle organizzazioni e dai partiti vicini alla dottrina filosofico morale indicata dalla Lgbt. Non si sa chi abbia inventato questo nuovo codice morale e semantico, ma resta il fatto che se non ci si uniforma si viene subito delegittimati e allontanati dal novero degli emancipati e dei corretti, per essere iscritti tra le schiere dei retrogradi e dei reazionari ed anche degli illeciti comportamenti.

La legge Zan funge allora da ulteriore ammonimento ad uniformarsi alle idee più progressiste, a quelle che taluni ritengono essere emancipate ed emancipanti. Una legge inutile perché ridondante. Una forzatura, un ammonimento ulteriore, per coloro che non dovessero accogliere pienamente l’omosessualità come un’espressione fisiologica della natura umana riconosciuta, come tale, dalla società in ogni suo aspetto. Qualora non fosse così, sarebbe una legge inutile perché gia’ esistente. In ogni caso sarà una legge dannosa per la libertà di espressione, per non soggiacere al pensiero unico. Insomma non abbiamo necessità di un atto di Fedez.

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