Oramai è tempo di riconoscere un ruolo costituzionale all’avvocatura in generale e all’avvocato in particolare e di pensare ad un nuovo sistema dialettico in cui l’avvocato abbia un vero e proprio ruolo da protagonista nel processo penale. E quest’apertura vista, peraltro da più parti, in modo certamente positivo, nasce di certo dalla proposta avanzata, di recente, dal Consiglio Nazionale Forense dell’Avvocatura Nazionale di inserire, nella nostra Carta Costituzionale, un chiaro ed esplicito riferimento all’avvocato e al suo ruolo processuale nel processo penale. In buona sostanza, dunque, è necessario un richiamo esplicito alla sua funzione, al suo ministero: che sia un richiamo proprio in modo esplicito e chiaro nella Costituzione.
E ciò, a nostro parere, è necessario in quanto, in quella nostra Carta, manca questo esplicito riferimento alla professione dell’avvocato. Ad esempio qua e là nella Costituzione vi sono impliciti riferimenti all’attività forense dell’avvocato, ma mancano riferimenti chiari al suo ruolo tecnico costituzionale: ad esempio nell’articolo 24 si tratta del diritto della persona a difendersi in giudizio; ad esempio, ed ancora, nell’articolo 111 si parla del “giusto processo”, come di recente novellato e si legge che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità”.
Dunque si riconosce l’esistenza e la necessarietà di una difesa tecnica peraltro qualificata in ambito processuale e procedimentale e si attribuisce, nel contempo, ma sempre solo implicitamente, all’avvocato difensore il ruolo di un vero e proprio tramite per la rappresentazione al Giudice, “terzo e imparziale”, della situazione, in punto di fatto e di diritto, della parte assistita, rappresentata e difesa. E tutto cio’ – secondo me – conferma una centralità, ma solo di fatto, della funzione dell’avvocato nel ruolo della giurisdizione che, poi, in punto di diritto costituzionale, non è purtroppo espressamente riconosciuta e sancita. In un’ottica del genere, orbene, riteniamo, che si sia inserita, e correttamente, la nota proposta del Consiglio Nazionale Forense dell’Avvocatura Italiana che, con un disegno di legge costituzionale, ha pensato di inserire, appunto, nella nostra Costituzione un esplicito riferimento al ministero dell’avvocato e al suo necessario ed indispensabile principio di indipendenza e di libertà che lo muove.
Il Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione, il dottor Giovanni Canzio, a questo proposito, ha suggerito di inserire nell’articolo 111 questa interessante ed importantissima novella che riportiamo: “Salvo i casi espressamente previsti dalla legge, nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati, i quali, al fine di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, esercitano l’attività professionale in condizione di libertà e di indipendenza”.
Poi sempre lo stesso Primo Presidente dottor Canzio ha anche ricordato come, nella Costituente, fu un noto giurista, l’avvocato Piero Calamandrei a volere, ed anche fortemente, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ed a lui si deve l’elaborazione, in quella specifica sede, di una elaborata “Relazione sul potere giudiziario e sulla suprema corte costituzionale”, nella quale era ridisegnata la nuova concezione dell’ordinamento giurisdizionale. Peraltro nel suo notissimo discorso del maggio 1946 l’avvocato Calamandrei, tra l’altro, scriveva, a chiare lettere, che: “Il principio della indipendenza del potere giudiziario deve essere praticamente attuato, mediante l’autonomia amministrativa della magistratura, con forza”.
Poi, ed ancora, nella Prefazione alla seconda edizione dell’Elogio dei giudici, sempre il giurista Calamandrei sottolineava che: “In realtà l’avvocatura risponde a un interesse essenzialmente pubblico altrettanto importante quanto quello cui risponde la magistratura: giudici e avvocati sono ugualmente organi della giustizia, sono servitori ugualmente fedeli dello Stato, che affida loro due momenti inseparabili della stessa funzione”. E tutto ciò dove ci porta? Questo ci dobbiamo chiedere.
Orbene concludiamo rispondendo a questa domanda riportando (e quindi ovviamente sposando) la tesi del Presidente dottor Canzio che in sintesi cosi, magistralmente, si esprime: “Dal nobile insegnamento di Calamandrei traggo il fermo convincimento, per un verso, che le ragioni fondanti e gli equilibri istituzionali del disciplinamento costituzionale della giurisdizione hanno una valenza attuale e vanno preservati, nella consapevolezza che si è in presenza di un nodo nevralgico dei rapporti fra i poteri dello Stato. Per altro verso il progetto di esplicita condivisione in Costituzione della missione di giustizia e dell’organizzazione della giurisdizione da parte, insieme, della Magistratura e dell’Avvocatura, nel reciproco riconoscimento dei rispettivi ruoli e funzioni, ne rafforzerebbe l’indipendenza e l’autonomia rispetto al potere politico. Sono convinto che l’una sarebbe sinergicamente custode e garante dell’indipendenza dell’altra, nell’unità della cultura della giurisdizione che deve accomunare il giudice, il pubblico ministero e l’avvocato. Ne risulterebbe accresciuta l’autorevolezza e la legittimazione nella società, insieme con la fiducia dei cittadini nella giustizia e nell’ordine democratico, il cui stato di salute è direttamente proporzionale alla qualità e alla forza dei principi che fissano il disciplinamento della giurisdizione in uno Stato di diritto”.
Tutto ciò nell’auspicio – per concludere – che possa essere presto riconosciuta una funzione costituzione all’avvocato che opera non solo nell’esercizio del diritto e del mandato per l’espletamento del suo ministero, ma soprattutto nell’esercizio primario dell’interesse della Giustizia.