Le menzogne sul capitalismo

Dalle colonne di questo stesso giornale abbiamo più volte “denunciato” il caso Italia: un Paese immerso in un sistema ambiguo e contraddittorio rispetto alle teorie socio economiche che hanno ispirato il mondo. Dichiaratamente liberale, pur immerso in un fronte apparente di stampo capitalistico, il Belpaese è stato infatti quasi sempre governato con politiche stataliste e socialiste, in un meccanismo che assegna ai “poteri centrali” privilegi e capacità d’azione che ne costituiscono poi le principali prerogative attraverso le quali quasi tutti i servizi resi ai cittadini (sanità, trasporti, energia, istruzione, giustizia, ordine pubblico, assistenza e previdenza) vengono gestiti in regime monopolistico alla pari della maggior parte degli asset industriali con circa diecimila aziende di proprietà oppure partecipate. Queste ultime, quasi tutte in perdita (così come i servizi), a loro volta sono amministrate secondo le convenienze politiche ed elettorali del momento. Cioè di chi detiene le redini del governo e del sottogoverno nazionale. Ma non basta. Nelle aziende partecipate lo Stato si arroga il diritto di far valere le proprie quote di partecipazione, ben oltre il proprio valore nominale e percentuale, attraverso un meccanismo chiamato “golden share” ossia riservandosi un diritto di veto e/o di intervento che vanifichi il regolare andamento della vita societaria secondo i canoni della libera iniziativa. Quest’ultima, all’opposto, viene totalmente ignorata finanche dalla Costituzione e subordinata al raggiungimento di una “finalità sociale” dell’impresa quasi a voler parificare gli obiettivi del libero investitore ai canoni ed agli obiettivi “statali”. Alla base di tutta questa ambiguità di sistema c’è certamente l’ambiguità della nostra Magna Carta e dei compromessi con la quale essa fu definita nell’immediato dopoguerra dalle forze socialiste e liberali che formavano l’assemblea costituente. Tuttavia ciò non basta per spiegare l’ossimoro italiano in campo economico, lo statalismo imperante ed impermeabile anche ai cambi di governo laddove siano assurti ai vertici del potere coalizioni di centrodestra, dichiaratamente avverse al socialismo. La vera fonte di tutto questo risiede, infatti, nella narrazione e nella presentazione, in termini negativi, del regime capitalistico, fatto oggetto, per ignoranza o per recondito scopo politico, di una serie di critiche spesso infondate se non dichiaratamente fasulle. Cominciamo dalle menzogne più eclatanti che, avendo uno sfondo sociale, colpiscono l’immaginazione delle masse. La prima è quella che il capitalismo abbia affamato il mondo, che abbia fatto prosperare il lavoro minorile. Basterebbe guardare alla storia di tutte le democrazie liberali per comprendere, cifre alla mano, come il grado di benessere, di accessibilità ai prodotti (necessari o superflui che essi siano), di tutela del lavoro, e la rete di protezione sociale e previdenziale, in generale il “welfare state”, siano stati un dato distintivo, se non esclusivo e primigenio delle medesime. Aumentare il potere di acquisto offrendo, a basso costo, il risultato del continuo progresso tecnologico e merceologico indotto dalla libera iniziativa, dalle leggi della concorrenza e del mercato, è infatti uno degli obiettivi del capitalismo per poter sostenere il benessere e la produzione di ricchezza. Più larga è la base degli acquirenti più si garantiscono le vendite e la varietà della produzione, nonché la prosperità di chi produce e di chi acquista. Le grandi carestie sono, storicamente parlando, il frutto dell’erronea programmazione statale e dell’inibizione della libera iniziativa, che non ha niente a che vedere con le oligarchie dispotiche del socialismo reale  e la pretesa che lo Stato possa prevedere e soddisfare i bisogni della gente, se non imponendoli! Un’altra menzogna sul capitalismo che più colpisce l’immaginario collettivo è quella che i danni ambientali, nuovo flagello dei popoli,  siano la risultante della scriteriata attività della  libera impresa. A ben guardare sono semmai i paesi socialisti ad aver devastato di più l’ambiente. L’esempio più eclatante, in tal senso, ce lo fornisce la Cina o, peggio ancora, la Russia, ove è scomparso il grande Lago di Aral ed è agonizzante finanche il Mar Nero, dove intere foreste pluviali stanno sparendo ben più velocemente che in Brasile! per non dire dei danni da avvelenamento chimico e radioattivo. Insomma: laddove vige un sistema di interessi che agisce senza identificarsi con lo Stato imprenditore e padrone, il mercato stesso viene sottoposto a regole e controlli terzi. In disparte i guasti della programmazione statale, dell’alto grado di corruzione della nomenclatura e la fatale presunzione dei programmatori di ridurre il tutto ad un unicum previsto  e programmato. La libertà che vige negli stati capitalistici crea i naturali antagonisti sociali ed imprenditoriali ( bonifiche ambientali )  agli abusi del territorio,  e la dialettica democratica vara le leggi per contrastarli. Invece ancora oggi c’è chi separa le tesi massimaliste del “Buon Karl Marx” dalla loro generale e nefasta applicazione nel tempo. A breve (nei prossimi giorni) il seguito per gli incliti ed i profani.

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