Le mutande di Belen

Ci fu un tempo nel quale la donna si copriva di veli. La sua virtù era pubblica, la sua beltà privata, spesso avvolta in un alone di mistero. Per quanto fosse solo immaginata, era oggetto di passioni e desideri incondizionati di poeti e letterati. Non c’era alcun bisogno di esibire il corpo né di offrire agli occhi dell’amato i propri più intimi segreti. Non fu mai questione di morale ma solamente di decoro, di saper mantenere alto il desiderio di chi amava senza pretese. Il profilo morale non era ritenuto secondario e si sovrapponeva al modo stesso di essere della medesima. Parole come discrezione e prudenza, fedeltà e riservatezza, erano corollari di una cifra comportamentale giammai permissiva ed accondiscendente. Tuttavia è risaputo che la morale ed i costumi sono figli del tempo e man mano il corpo si scoprì all’unisono con la rivendicazione di una parità di genere, spesso malamente intesa come liberazione del corpo da ogni limite e pudore.

Quel che prima era intravisto e supposto diventò sfrontato ed esibito: il corpo eliminò ogni velo e l’improntitudine sostituì, senza compromessi, ogni cautela. Fu in quel modo maldestro che si volle misurare l’emancipazione della donna che pare dovesse obbligatoriamente progredire in maniera proporzionale all’ostensione delle intime beltà. Un processo che, contrariamente a quanto supposto, non portò mai ad un aumento della parificazione, ma solo alla maggiore ostentazione delle forme, alla spoliazione progressiva delle curve, liberazione dai vincoli e purtroppo, spesso, anche del buon gusto. Quelle stesse donne che con due paia di sottane e coperte fino al collo seppero suscitare passioni indicibili e versi poetici incomparabili, finirono, col tempo, nel mostrarsi seminude agli occhi di uomini sempre più assuefatti e pertanto indifferenti. E così nel tempo, come su di un piano inclinato, ogni antico pudore è stato sacrificato in nome di una contestazione che invocava il sovvertimento dei ruoli sociali come erano stati intesi nelle epoche precedenti. Nessuno incorra nell’errore di valutare queste parole come una retriva nostalgia del passato, una sorta di malinconico dietrofront o, peggio ancora, come il surrettizio intento di voler riportare indietro nel tempo il processo di equi-ordinazione giuridica, sociale e culturale del gentil sesso. Esse, invece, altro non sono che parole di considerazione di taluni valori archiviati come “sorpassati” oppure frettolosamente posti a paradigma di un progresso che non si dovrebbe misurare in centimetri quadrati di corpo da esibire in pubblico. Privata di ogni riservatezza e di ogni cautela, la donna non si emancipa, contrariamente a quanto la moda ed i costumi dell’era consumistica inducono a ritenere. Una donna vestita può essere autorevole ed interessante oltre che rispettata nel contesto di valori e di talenti che la legge, non la moda, deve tutelare in nome di un diritto e non di una mera e spesso vuota esibizione edonistica.

La parità di genere è conquista di lotte per i diritti ed opportunità prima negati. Nessuna ostentazione delle nudità ha mai avuto la forza della cultura pianificatrice che ha portato la donna nello stesso contesto di valutazione che riguarda gli uomini. Peraltro la massificazione indotta dalle mode ha reso quasi tutte le donne belle secondo stereotipi comuni tanto da renderle indistinguibili agli occhi di chi le guarda. Se queste si atteggiano, si vestono e si mostrano come dei cloni l’una dell’altra, il vero conformismo sociale ed estetico torna a farla da padrone. Sorge quindi il dubbio che terminato il processo di liberazione del proprio corpo, espresso come rivendicazione del proprio genere e dei propri insindacabili diritti, dell’affermazione di una nuova morale, tutto torni ad un originario ed indistinto status identitario. Per scongiurare il ritorno all’indistinguibile, all’uniformità estetica, le mode sono costrette a spingere ancora di più sul pedale della stravaganza e della sfrontatezza. Riempiti i seni, gonfiate le labbra, spogliato il corpo fino al limite della decenza, non resta che inventarsi qualche altra cosa con un’alzata di ingegno. Le spiagge pullulano di donne semi nude dai corpi levigati ed abbronzati, pieni di tatuaggi esotici ed invasivi. Il continuo rincorrere l’originalità diventa, all’incontrario, un segno massificante che rende le donne tutte identiche e gli uomini sempre meno attratti. Sarò anche retrivo ed anacronistico ma è forte la sensazione che la donna si sia privata della propria attrattiva, abbia rinunciato ad essere desiderata, abolendo il principio fisiologico che sia il desiderio ad alimentare il piacere. Se oggi sono di moda le mutande di Belen, esili strisce adesive che coprono strettamente l’area pubica, non c’è niente di più da desiderare ma solo da prendere. Non credo che con questo tipo di parificazione le donne ci abbiano guadagnato.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome