Le scuole aperte non hanno favorito la diffusione del Coronavirus

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

ROMA – Che la scuola non sia un vettore di contagio lo disse già uno studio di ‘Nature’ pubblicato da ‘Cronache’ nel dicembre scorso. E ora lo conferma anche un secondo studio, realizzato in Italia e con i dati italiani forniti dal ministero e dalle Asl: non c’è correlazione tra le lezioni in presenza e l’aumento dei contagi da Coronavirus. Le scuole aperte non hanno avuto conseguenze negative sulla diffusione del virus. Questo secondo studio è basato sui dati forniti dal ministero dell’Istruzione, dalle aziende sanitarie e dalla Protezione civile, e ha verificato che il tasso di positività tra gli studenti è inferiore all’1% dei tamponi effettuati.

Ed è un dato che fa male, visto che l’Italia è il Paese nel quale le scuole sono rimaste più chiuse rispetto al resto dell’Europa.
Questa seconda ricerca è stata condotta da un team di epidemiologi, medici, biologi e statistici. Di questi il Corriere della Sera ha intervistato Sara Gandini dello Ieo di Milano: “Il rischio zero non esiste, ma sulla base dei dati raccolti possiamo affermare che la scuola è uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di contagio”. I dati utilizzati coprono un campione iniziale pari al 97% delle scuole italiane: più di 7,3 milioni di studenti e 770 mila insegnanti.

Tornando quindi ai mesi del secondo picco, tra ottobre e novembre, emerge che non fu causato dall’apertura delle scuole: “Di più – aggiunge Gandini -: la loro chiusura totale o parziale, ad esempio in Lombardia e Campania, non influisce minimamente sui famigerati indici Kd e Rt. Ad esempio a Roma le scuole aprono 10 giorni prima di Napoli ma la curva si innalza 12 giorni dopo Napoli, e così per moltissime altre città”.
Come pure sarebbe marginale il ruolo degli studenti nella trasmissione del virus: “I giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti, veri responsabili della crescita sproporzionata della curva pandemica. E questo si conferma anche con la variante inglese”.

Risultano rari i focolai in classe: sotto il 7% di tutte le scuole. E ancora meno rilvante è la frequenza nella trasmissione da ragazzo a docente. E’ invece quattro volte più frequente che gli insegnanti si contagino tra loro, che del resto è lo stesso rischio che si registra generalmente nei posti di lavoro.

“In mancanza di evidenze scientifiche dei vantaggi della chiusura delle scuole – aggiunge Gandini -, il principio di precauzione dovrebbe essere quello di mantenere le scuole aperte per contenere i danni gravi, ancora non misurabili scientificamente in tutta la loro portata e senz’altro irreversibili sulla salute psicofisica dei ragazzi e delle loro famiglie. La scuola dovrebbe essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire”. E di più: “Ci sono rischi anche nel tenere così a lungo chiuse le scuole. In Italia gli adolescenti delle superiori sono andati a scuola mediamente, quest’anno, solo 30 giorni in tutto”.

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