I recenti risultati delle regionali in Abruzzo ed in Sardegna, valutati insieme alle più recenti amministrative dello scorso anno, indicano un unico semplice responso: il repentino tramonto del M5S e l’ascesa della Lega che erode consensi a quel che resta di Forza Italia ed a Fratelli d’Italia. La sinistra, quella antagonista di matrice socialista, statalista e giustizialista, si riduce alla marginalità ed il vecchio centrosinistra, rappresentato dal Pd, è ben lontano dal pienone riscosso alle ultime Europee sotto la guida di Matteo Renzi. Insomma, seppur indebolita nelle percentuali di consenso elettorale, l’asse governativo gialloverde si riconferma, di gran lunga, senza avversari politici. Pacata, o quasi, l’onda di protesta sociale, mitigata la stagione degli odi e dei rancori sociali, la vena di assoluto discredito delle istituzioni parlamentari, ancora non si vede all’orizzonte né un nuovo leader, né una nuova proposta politica in grado di assemblare le membra sparse dei moderati e dei riformisti, di ogni colore e genere.
Insomma, innanzi alla sconfitta dei Cinque Stelle (e della loro demagogia assistenziale) ed alla “frenata” dei leghisti (in Sardegna ed in Abruzzo il Carroccio ha dovuto comunque cedere la presidenza della Regione ad un indipendente Sardo ed a FdI abbracciando l’indigesto Berlusconi), nessuno può giovarsi ancora di una prospettiva in grado di rompere il quadro politico nazionale. Il Cavaliere con Fi ai minimi storici, fa il piromane nelle aule parlamentari ed il pompiere negli enti locali ove invoca inutilmente una ritrovata unità del centrodestra. I Dem, dal canto loro, ripartono dalle macerie lasciate dall’ottusità politica e dalla protervia personale di Renzi, ma i contendenti alla segreteria sono abbastanza scialbi così come i loro discorsi che indulgono ancora in programmi e progetti stantii, a metà tra la sinistra antagonista e le fisime anti-capitalistiche dei cattocomunisti ex democristiani.
Rimarcare tutti i giorni, nelle comparsate dei talk show e nei pastoni dei tg, che al governo sono giunte persone incapaci, inadeguate ed inesperte, non serve a niente se non ad aggiungere alla platea degli astenuti altri elettori recentemente delusi. Su questo versante dell’opposizione si distingue da quella stanca ripetizione dell’esistente, il tentativo di Carlo Calenda che ha almeno capito che il vecchio centrosinistra, raggruppamento obsoleto creato negli anni Novanta del secolo scorso per costruire un argine al Cavaliere, va lasciato perdere e affidato alla memoria storica della Nazione.
Che con Berlusconi ed il suo retroterra elettorale, il centrosinistra avrebbe dovuto interloquire, il buon Matteo lo aveva capito. Peccato però che alla fine il “rottamatore” abbia preferito far prevalere la furbizia cinica scatenando le bizze senili di Silvio. Entrambi hanno distrutto quella novità e quella prospettiva di mettere insieme tutti i riformisti e tutti i liberali in un nuovo e più ampio schieramento che stabilizzasse la Nazione al centro lasciando agli integralismi di destra e di sinistra il gioco delle ali distinte e distanti. Eppure sarebbe bastato far assurgere alla sommità del Colle un presidente gradito anche a Berlusconi come Giuliano Amato oppure Massimo D’Alema. Col secondo al Quirinale, Renzi avrebbe dato seguito al Patto del Nazareno ed avrebbe chiuso per asfissia anche la logorante guerra intestina nel Pd.
C’è oggi in giro, anche in nuce, un uomo in grado di tessere una rete così ampia e trasversale per rivitalizzare programmi elettorali credibili e fattibili, interpretati da gente adeguatamente preparata (ed esperta) per affrontare e risolvere la crisi tirando fuori l’Italia da quello stato di progressivo isolamento nel quale i due Dioscuri, Di Maio e Salvini, l’hanno infilata? Esiste ancora il dubbio che senza cambiare l’efficienza e la dimensione dello Stato questi possa essere recuperato ad una nuova stagione di rispetto e di considerazione da parte di quegli elettori che disertano le urne?
Le cariche non santificano chi le ricopre, ecco perché cambiando gli uomini senza riformare lo Stato non si giunge che a delle effimere vittorie come quelle di Pirro. Sono passati ventidue secoli da quando la repubblica romana dovette affrontare la coalizione capeggiata dal re dell’Epiro che, pur vincendo due sanguinose battaglie, perse tanti soldati da cadere definitivamente nella nostra Benevento.