L’emulo di Kerenskij

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Coloro che si sono interessati di politica per convincimento ideale, nel tempo in cui i partiti erano una cosa seria, organizzata su base democratica (e sulla scorta di un credo ideologico), avranno senz’altro cognizione della storia dei movimenti politici. A parte le rispettive scuole di formazione, che i partiti organizzavano per acculturare i quadri dirigenti, anche il semplice iscritto possedeva un’infarinatura sugli eventi che si erano susseguiti nel corso degli anni. Scomparse con la prima Repubblica queste organizzazioni, a cui la Costituzione assegnava (ed ancora assegna) l’importante ruolo di “trait d’union” tra popolo ed istituzioni, personalizzati e banalizzati gli attuali “movimenti”, tutta questa conoscenza si è dissolta nel nulla, se non ridotta al rango di apologia della persona. Ne consegue che molti elettori, soprattutto i più giovani, che ignorano la storia e le vicende pregresse, sono portati a guardare alla politica – quando raramente vi prestano attenzione – come ad fatto da rotocalco, una soap opera televisiva, un evento comune della cronaca quotidiana. A peggiorare le cose c’è l’uso quotidiano e la frequentazione costante del web, fonte inesauribile di fake e baggianate, ove i fatti della politica vengono sovente mischiati alle notizie più banali e frivole. Ne consegue che l’avversione alla politica – che è sempre latente – si trasforma e scade nel commento pettegolo, sarcastico e qualunquistico degli improvvisati lettori di turno ai quali spesso mancano le conoscenze minime per poter comprendere e valutare le cose. Purtroppo, questo modo di pensare origina una diffusa opinione, spesso  elevata a verbo assoluto che condizionerà anche le scelte elettorali. Prevalgono, infatti, nel giudizio del popolo sovrano un apprezzamento estemporaneo, l’attenzione verso elementi marginali come la telegenicità del leader di turno, la simpatia oppure l’antipatia, le idiosincrasie sociali: tutti fattori emotivi che rendono il voto, e quindi il responso elettorale stesso, legato a fattori che non hanno niente a che vedere con la vera politica. Sono questi gli umori che orientano il giudizio degli habitué che frequentano la rete ed, in generale, i comuni cittadini, anche sugli  eventi in corso per l’elezione del Capo dello Stato. Giudizi in gran parte basati sulle sensazioni e sulle opinioni senza costrutto, come se si dovesse scegliere la miss di un concorso di bellezza. Nella patria dei Guelfi e dei Ghibellini, di Guicciardini e Machiavelli è facile formare gruppi di opinioni contrastanti, schiere di ultrà e sostenitori di taluni candidati in corsa per la poltrona del Quirinale, in accesa disputa come fossero tifosi di sport. Sul versante opposto, quella della politica, non siamo messi molto meglio se si guarda alla confusione ed alla volubilità di talune scelte nominalistiche dei concorrenti alla carica di Presidente della Repubblica, che cambiano con la stessa frequenza con la quale cambiano i personaggio di una commedia dell’arte. A cominciare dal centrodestra che  ha bruciato una serie di nomination eccellenti sottoponendole alla cinica valutazione (neanche fosse un diritto di veto) del centrosinistra sul cui versante persegue l’ormai malcelato intento di fare terra bruciata attorno agli avversari per favorire il gioco della riconferma di Sergio Mattarella, l’unico nome che non spaccherebbe l’aggregazione politica capitanata dal Partito democtatico. Una riconferma tutto sommato gradita, quella dell’attuale Capo dello Stato, anche agli stessi pentastellati, sempre più allo sbando. Piace anche agli accoliti di Berlusconi, nelle cui fila si annida la più consistenza frangia di franchi tiratori (vedi flop Casellati) dopo i veti opposti al Cavaliere e dove pure se la ridono, in queste ore, avendo salvato, con il governo, anche le poltrone ministeriali! Resterebbero, in tal modo, con un palmo di naso, Salvini e Renzi che hanno fallito entrambi nel ruolo di king maker’s anche se l’ex Sindaco di Firenze non ci metterà più di una manciata di ore a cambiare opinione. Insomma alla fine della fiera le cose rimarrebbero come sono, senza scossoni e pericolo di elezioni anticipate, con gran gaudio dei peones parlamentari. Una pessima pagina di storia che certifica lo stato di impotenza della politica tricolore sempre più votata al compromesso pavido e quieto. Una fotografia dell’esistente che consente al centrosinistra di trarre il maggior vantaggio nel momento di minima rappresentanza parlamentare, confermando un proprio esponente al Quirinale. Per Letta e compagni, la riconferma di Mattarella al Colle e quella di Draghi a Palazzo Chigi verrebbero ad essere le pre-condizioni per poter puntare, in futuro, a vincere le politiche. Il presidente uscente si trasforma in tal modo nell’emulo di Aleksandr Fëdorovič Kerenskij che resse il governo in Russia nel periodo in cui il potere dello zar cominciava tragicamente a traballare sotto i colpi della incipiente rivoluzione proletaria.

*già parlamentare

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