L’intervista. Pizzarotti: “L’addio di Di Maio segna la fine del Movimento”

Il due volte sindaco di Parma: “Lasciare i 5 Stelle mi ha portato bene, sono stato l’unico rielettoOra la confusione regna sovrana, il Pd deve far capire ruolo vuole giocare nel centrosinistra”

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse in foto Federico Pizzarotti

NAPOLI – La grande confusione sotto il cielo politico nazionale è alimentata dalla mancata dichiarazione di intenti dei diversi leader. L’addio del ministro Luigi Di Maio al M5S sembra destinata ad avere non solo ripercussioni sulla tenuta del Movimento, ma anche sul centrosinistra e sulla capacità di reinventarsi del Pd. A fotografare la situazione politica attuale con Cronache è Federico Pizzarotti, che ha dismesso da pochi giorni la casacca di sindaco di Parma indossata per due legislature, che senza nessuna difficoltà ammette: “chiudere con i 5 Stelle anni fa, mi ha portato bene”.

La sua esperienza da primo cittadino si è conclusa, la nuova avventura potrebbe essere quella del partito dei sindaci di cui si parla già da un po’?

Al momento c’è ben poco di chiaro e nulla di concreto, perché al di là degli articoli di giornale in termini di dialogo non c’è niente. L’idea plastica della confusione che c’è, è data da un lato dall’implosione del M5S con la scissione di Di Maio che determina la fine sostanziale del Movimento e dall’altra dall’avvicinarsi al momento elettorale delle Politiche che porta tutta un’area moderata a guardarsi intorno.

Guardando alla storia degli ultimi dieci anni, quanto le ha portato bene dismettere la casacca grillina agli inizi del suo primo mandato da sindaco?

Mi ha sicuramente portato molto bene. Penso che se fossi rimasto con i 5 Stelle non avrei vinto anche la seconda volta. Non c’è sindaco grillino che abbia ottenuto il secondo mandato. Oggi Di Maio, in maniera estremamente tardiva, dice le stesse cose che io sostenevo all’epoca: presupposti irrealizzabili, una gestione poco lucida che portava, e oggi ancora di più, a dire una cosa e a farne un’altra. L’ho detto quando non lo diceva nessuno, e questo ha fatto sì che ovunque andassi la gente me lo riconoscesse come merito. L’ho fatto in un’epoca in cui non c’era doppio fine.

E quel doppio fine chi lo ha Di Maio o Conte?

Chiaramente Di Maio più di Conte perché è evidente che internamente non aveva più spazio per governare i 5 Stelle e quindi la scelta è stata di uscire dal Movimento. Non so se Conte lo ha deluso o se semplicemente non ha fatto ciò che voleva lui. Ma internamente Di Maio aveva perso potere.

Sia Conte che Di Maio hanno bisogno di nuovi alleati, se la contattassero?

Al momento non mi interessa minimamente, concedo a Di Maio che è appena uscito dal M5S il beneficio dell’inventario e del tempo, nulla di più. Per quanto riguarda Conte, avrebbe dovuto fin dal primo giorno fare chiarezza sui valori e sugli obiettivi di cui oggi il M5S è privo. Dovrebbe dire cosa vuole fare. Fino ad ora ha solo inseguito la cronaca giornaliera.

In tutto questo caos, il Pd, Leu, Sinistra italiana che ruolo hanno e avranno alle Politiche?

Dipende dall’approccio che avrà il Pd, a valle di questa uscita di Di Maio che muove i piani nazionali di tutti, andrebbe capito il Pd che ruolo vuole giocare. Di una casa che allarga le sue componenti e rimette dentro la sinistra più estrema o la sinistra si struttura autonomamente? Dalle scelte del Pd dipenderà lo scenario degli altri partiti. Con la legge elettorale che abbiamo, ha senso coprire le diverse zone, con un’altra magari ognuno correrebbe da solo.

Centrodestra e centrosinistra nella stessa legislatura si mischiano nella composizione di più governi. Una nuova legge elettorale potrebbe evitare che anche la prossima legislatura sia un alternarsi di governi misti?

Quello della legge elettorale è uno dei temi, cambiarla potrebbe portare al riassetto di un intero campo. Io tornerei al proporzionale con le preferenze che riporterebbero gli eletti ad essere direttamente collegati ai territori che rappresentano. Ma più che altro metterei in discussione l’impianto per l’elezione del premier per dare al Paese quella stabilità che in settant’anni non ha mai avuto.

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