Non c’è angolo del Belpaese nel quale non si pianga la morte di Raffaella Carrà. Un cordoglio vero e sentito quello che gli italiani hanno manifestato per la scomparsa della famosa ed eclettica show girl emiliana. Ballerina, cantante, presentatrice e conduttrice a tutto tondo di una serie infinita di programmi, quasi tutti per la tv di Stato, la “Raffa nazionale” è stata anche autrice di canzoni di successo che ha esportato in quasi tutti i paesi del mondo, perlopiù quelli di lingua spagnola, con attestati di stima ed apprezzamento tributatigli da svariate Nazioni.
Chi non ne ha mai canticchiato uno nella vita? Finanche i giornali americani hanno dato risalto alla sua scomparsa, pur essendo quel Paese ricchissimo di talenti e personaggi famosi del mondo dello spettacolo. Insomma, una risonanza che ha travalicato i confini dello Stivale, a riprova di come l’artista fosse da considerarsi veramente molto ammirata anche a livello internazionale. Gli agiografi della Carrà evidenziano che fu anche un’eccellente ballerina e coreografa insieme al compagno Sergio Japino. Famoso, in tal senso, il lancio in alto della gamba, oltre che per la foggia dei suoi vestiti, quasi sempre un pantalone attillato ed un corpetto che metteva in risalto un ventre scolpito dai muscoli ed il famoso ombelico.
Donna intelligente quanto versatile, Raffaella ha saputo gestire sia gli spettacoli del sabato sera sia quelli dei salotti nazional popolari della domenica pomeriggio, con record di audience e popolarità forse mai raggiunti da nessun altro prima di lei. Non diede mai l’impressione d’essere banale e conformista, anzi si distinse, in tempi non sospetti e non facili per la trattazione di taluni argomenti, tra cui il sostegno alla battaglia per i diritti degli omosessuali. Idee che in taluni contesti esteri le procurarono anche qualche “grattacapo” con le autorità. Fu per molti anni compagna di vita di un altro mostro sacro dello spettacolo, Gianni Boncompagni, uomo intelligente ed ironico, ideatore di spettacoli radiofonici e televisivi di grande successo insieme con Renzo Arbore.
Questo per quanto riguarda le note salienti della vita artistica ed intellettuale della grande artista . L’unanimità delle opinioni, il diffuso e concorde cordoglio, l’assenza di critiche di qualsivoglia natura, riconfermano l’inclinazione degli italiani ad affezionarsi ai protagonisti televisivi, ma soprattutto ad innamorarsi di quelli che mostrano la mitezza ed il sorriso come dato caratteristico. Gli abitanti del Belpaese amano, insomma, coloro i quali ai loro occhi si mostrano a portata di mano, mai sussiegosi e soprattutto che stanno lontano dal farsi qualificare politicamente.
Insomma da personaggi mai faziosi, tranquillizzanti messaggeri di uno stile di vita anfotero, lontani dalle lotte stridenti che insorgono quando si incontrano personalità forti e spigolose. Tenuta a bada l’invidia sociale e neutralizzata la reazione di ripulsa verso chi si erge sulla massa, i nostri compatrioti perdonano tutto e finiscono per adottare quella persona. D’altronde centinaia sono stati i sabato sera passati in compagnia di Raffaella, allietati da musica e quiz milionari, una perso da considerare addirittura come un componente aggiuntivo del proprio nucleo familiare. Viceversa per coloro che sostengono tesi dirompenti su argomenti spinosi, che si identificano come partigiani, sono ritenuti dal pubblico degli antipatici piantagrane.
Se questo è il portato caratteriale del personaggio televisivo si può argomentare che buona parte della simpatia viene acquisita da chi non mostra in pubblico il proprio carattere ma si adegua. Non a caso l’etimologia del termine simpatico riporta ad una comunanza di passioni e di opinioni. Sono i simpatici ed i paciosi che incontrano meglio l’intima natura del popolo italiano. Vengono quindi meno le puntute riflessioni, gli argomenti divisivi e le considerazioni espresse dai cosiddetti “maître a penser” in quanto questi non si sentono contraddetto oppure avversati. Nasce dalla valutazione di questo retroterra “ideologico”, mai evidenziato dai commentatori, l’affetto ed il rammarico. Se ne ricava in tal modo una razionale risposta al perché di un’unanimità di dolore e di giudizi positivi. L’occasione della morte di un’artista, per quanto noto e grande, diventa per gli italiani lutto nazionale perché viene a mancare un parte di loro stessi e del modo di vivere la vita.
Se questi sentimenti pressoché unanimi siano l’espressione dell’inclinazione dei nostri connazionali al quieto vivere, al furbo disimpegno, alla loro levantina natura agnostica , non importa a nessuno e nulla cambia. Se fosse scomparso uno scienziato, un filantropo, una persona di elevati meriti sociali, acquisiti nell’anonimato, pochi se ne sarebbero accorti e non lo avrebbero rimpianto.
Siamo un popolo che apprezza ed ammira chi salva un ragazzo mentre affoga tra i gorghi di un fiume, non certo un uomo che, nel corso di una vita onesta e diligente, ha salvato migliaia di vite umane creando il bene pubblico. Nulla di male, s’intende, e senza nulla togliere ai meriti di Raffaella alla quale una gran folla ha reso omaggio nella camera ardente, ed ha fatto bene. Resta solo da dire che, come popolo, più che interessarci dell’ombelico del mondo, ci affezioniamo e rimpiangiamo l’ombelico della Carrà.