Mafia, in un libro la storia di Natale Giunta: lo chef che si è ribellato al pizzo

L'antimafia è una "questione personale, si fa sul campo"

Foto Piero Cruciatti / LaPresse

MILANO – Mafia, in un libro la storia di Natale Giunta: lo chef che si è ribellato al pizzo. L’antimafia è una “questione personale, si fa sul campo”. È partendo da questa convinzione che Natale Giunta, chef palermitano di fama internazionale, parte per raccontare la sua vicenda emblematica nel libro ‘Io non ci sto – Il coraggio di un uomo contro la mafia’, uscito in questi giorni per Rai Libri. La storia di un giovane imprenditore che si è ribellato alla richiesta del pizzo, e che da allora ha visto la sua vita stravolta. “Ma rifarei tutto”, sottolinea con forza, spiegando che non si deve “darla vinta” alla criminalità che vuole imporre le sue regole. “C’è gente che per restare qui ha perso tutto. Ma questa terra si salva solo così, non è che ce ne possiamo andare tutti”. Una storia raccontata nel libro, scritto insieme con la giornalista Angelica Amodei, che lo ha aiutato a ricomporre il puzzle di una vita sconvolta dalle minacce mafiose, ma soprattutto dalla ferma volontà di fare la cosa giusta.

A 32 anni, nel 2012, Giunta era già un imprenditore affermato nel settore della ristorazione a Palermo, quando avvenne l’episodio che gli cambiò la vita. “Mi dicevano: ma non hai sentito nessuno, nessuno ti ha chiesto nulla? Io – racconta – rispondevo scherzando, facevo lo scemo. Finché un giorno si presentano in due nel mio ufficio, un signore sui 70 anni e un uomo di 40. Il più anziano fa l’elenco delle mie proprietà e mi dice: ‘Hai aperto tutto questo senza chiedere l’autorizzazione a nessuno?’. Io rispondo che ho tutte le autorizzazioni del Comune. E allora mi spiegano che loro sono lì per proteggermi, perché ci sono persone che vogliono farmi del male. Li ho cacciati, poi sono andato dalle forze dell’ordine: mi hanno fatto vedere delle foto e io ho riconosciuto il più anziano. A quel punto erano preoccupati, perché si trattava di un boss pericoloso, e quelli di solito non si muovono di persona per chiedere il pizzo”. Da lì la scelta più difficile, e la vita che prende un altro percorso: “Ho avuto i carabinieri vicino per tanti anni, la scorta per sette anni. La paura c’è, negli anni si trasforma, quando mi hanno tolto la scorta avevo davvero paura, ma ho cercato di trasformarla nella volontà di dovercela fare. Passai da cento dipendenti a zero, persi in tre anni nove milioni di fatturato. Ma rifarei tutto”. Il problema più grande è rappresentato proprio, spiega Giunta, dalle difficoltà a cui va incontro chi denuncia: “Nove su dieci chiudono. In Sicilia c’è una legge regionale che prevede che chi non ce la fa dopo aver denunciato, venga assunto in Regione senza concorso. Perché spesso gli imprenditori che si ribellano finiscono in mezzo alla strada”.

Natale Giunta però non si è mai arreso. Anche in quest’ultimo difficile anno di pandemia non ha gettato la spugna, anzi si è letteralmente rimboccato le maniche e, mettendosi a confezionare lui stesso le pietanze che uscivano dalla sua cucina, ha organizzato un capillare sistema di consegna a domicilio per portare i suoi piatti in tutto il mondo. Si è reinventato e ha trovato una strada alternativa per non andare a fondo. Ed è più che mai convinto che “il permesso di aprire un ristorante va chiesto allo Stato e non alla mafia”.

Giunta conclude: “Io dovevo fare il mio dovere. Non volevo avere paura, ma avevo paura. Per la prima volta nella mia vita. ‘Vedrai che tra poco cambierai idea’, mi avevano detto quella maledetta mattina. Mai, neanche per un solo istante, ho pensato di farlo”.

(Claudio Maddaloni – LaPresse)

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