Mala casertana, Casalesi tenuti in piedi da una rete di imprenditori collusi

Grazie a loro si è inserito in comparti strategici come quelli della grande distribuzione, dei rifiuti e delle scommesse

CASERTA – Se il Clan dei Casalesi è ancora in piedi, nonostante gli arresti dei padrini, nonostante i pentimenti e le confische, è perché può contare su una rete di imprenditori ‘fedeli’. Si tratta di uomini d’affare “da sempre abituati ad avvalersi della mediazione dell’organizzazione criminale e dei consistenti capitali illeciti investiti” dalle cosche. Un sistema che permette alle compagini mafiose dell’Agro aversano di continuare a governare “direttamente e indirettamente alcuni processi economici interferendo spesso pesantemente anche nei meccanismi decisionali della pubblica amministrazione”.

E’ il quadro che la Dia ha tracciato dei Casalesi nella prima relazione semestrale. Nel focus dedicato al casertano ha evidenziato come la compagine dell’Agro aversano ha continuato a dimostrare “l’elevata capacità di penetrazione nella cosa pubblica” riuscendo ad inserire “proprie aziende in comparti strategici come quelli della grande distribuzione, del ciclo dei rifiuti e della raccolta di scommesse”. “Non di rado imprenditori collegali alla criminalità organizzata – ha sottolineato la Dia – interagirebbero direttamente con funzionari infedeli della pubblica amministrazione in una prospettiva di comune profitto specialmente negli appalti per la realizzazione delle grandi opere”.
Ad incarnare la tensione affaristica del clan dei Casalesi è la fazione Zagaria.

Per la Procura distrettuale di Napoli, nonostante sia al 41 bis dal dicembre del 2011, a guidarla è ancora Michele Zagaria. Il boss manderebbe messaggi all’esterno sfruttando i colloqui con i familiari e i video-collegamenti dalla prigione con le aule dei tribunali durante le udienze dei processi che lo vedono alla sbarra. Caopoclan a parte, un peso importante nella gestione della cosca lo hanno avuto anche le donne della famiglia Zagaria e negli ultimi anni, affermano gli investigatori, pure i nipoti del boss, ovvero i fratelli Filippo, Nicola e Francesco Mario Capaldo, figlii di Beatrice Zagaria e Raffaele Capaldo.

La mafia campana, sostiene la Dia, è più che mai protesta “a farsi impresa corrompendo, riciclando denaro, sfruttando la sua abilità intimidatrice”. Adesso è “una realtà criminale che si muoverebbe sul duplice piano dell’inabissamento e della concretezza costruito sui traffici commerciali e mediante affari alimentati da una potenzia economica assicurata principalmente dal traffico di droga”.

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