Meglio Garrone che Bottini

Vincenzo D'Anna

Carlo Calenda, l’apparente enfant prodige di questa nuova fase elettorale, ha compiuto una svolta che potrebbe rivelarsi esiziale per il suo giovane movimento: l’intesa elettorale con il Pd di Enrico Letta. In base a quest’accordo, il 70% dei collegi uninominali andranno ai Dem, che dovranno farsi carico anche delle truppe sparse della sinistra antagonista; il rimanente 30 all’accoppiata Azione (il partito di Calenda) e +Europa (Benedetto Della Vedova). Cala dunque mestamente l’opportunità che molti italiani pensavano di poter trovare alle urne: la possibilità di votare un volto nuovo ed una proposta programmatica innovativa, imperniata intorno ad un politico moderato vero. Una rottura, insomma, sia con quelli che ci avevano governato nell’ultima legislatura, sia con quelli che vi si erano opposti da posizioni estreme. La vicenda richiama alla mente il gran rifiuto di Matteo Renzi, sempre più isolato e randagio, di dar vita a un partito riformista che aggregasse sotto un comune denominatore politico, quel 42% di elettori che avevano detto si al suo referendum costituzionale. Gli antichi greci solevano dire che il carattere è il demone dell’uomo, chi manca di carattere, nei momenti cruciali, finisce prima o poi per soffocare negli stessi pannicelli caldi delle scelte mediane e dei calcoli che poggiano su prospettive che paiono più sicure. Calenda pensa di potersi misurare elettoralmente nelle liste del proporzionale, ma chi non lo vota perché alleato del Pd e della sinistra non lo voterà neanche lì. La sensazione è che i suoi amici Paolo Gentiloni e Francesco Rutelli lo abbiano (mal)consigliato riportandolo nell’area Dem  che pure questi aveva sdegnosamente ripudiato per dare vita ad un nuovo partito (che alle comunali di Roma si era ben comportato). Nel marasma generale che connota attualmente la situazione politica italiana Calenda poteva rappresentare un’alternativa forte alle aggregazioni farlocche e traballanti  di centrodestra e centrosinistra. Una scelta moderata che non sarebbe passata per l’eterna dannazione di dover riaggregare quel Centro punto di approdo e di appannaggio dei cespugli post democristiani. Forse si illude, andando a braccetto con i Dem, di poterli traghettare su sponde liberali assumendo poi un ruolo di guida. Sbaglia clamorosamente! Sul quel versante, infatti, a vigilare il confine tra statalismo e liberalismo veglia il mitico Cerbero. Questo mostruoso cane ha tre teste: la prima è quella dei post comunisti; la seconda, quella dei catto comunisti post democristiani (accasatisi nel Pd); la terza, quella dell’arcipelago dei vetero comunisti della sinistra antagonista in tutte le sue frammentate declinazioni. Se Calenda vince le elezioni con questi compagni di strada dovrà poi farà i conti con quanti lo costrinsero a lasciare il Pd. Se invece le perde, sarà stato sconfitto due volte: sia come forza di governo sia per il fallimento di una distinta identità politica. Per gli elettori moderati indecisi un ulteriore grattacapo. Calenda poteva essere il riferimento di un vasto elettorato che non vota più, compresi i post berlusconiani a cui non garbano né Meloni né Salvini. Molti di questi ultimi pensano che scartato il Cavaliere per l’età e per i suoi trascorsi poco edificanti e il leader del Carroccio per la sua inaffidabilità, la palma del vincitore spetterà alla leader di Fratelli d’Italia. Se così sarà avremo contro le cancellerie europee che contano  e quella finanza internazionale, indipendentemente da ogni altra considerazione di merito merito conquistato democraticamente dalla “pasionaria” della Destra italiana. Un lusso che pagheremmo in termini economici, di rappresentatività e di affidabilità rispetto al governo capitanato da Mario Draghi. Calenda poteva essere la soluzione per non doversi tappare il naso e votare “ob torto collo” il campo avverso: quello antagonista di Letta con la sua precaria macchina da guerra elettorale e la stantia retorica antifascista che sembra esserne l’argomento principale. Avremmo evitato in tal modo di doverci piegare ad una scelta di voto per contrapposizione e non per convinzione. Tuttavia la politica è l’arte del divenire e del possibile, tutto può succedere nonostante i sondaggi, solo raramente è anche il campo dei miracoli, come avvenne ai tempi del fulgore berlusconiano. Carlo Calenda è nipote, per parte di madre, del famoso regista Luigi Comencini, che ha diretto film indimenticabili come “Pane, amore e fantasia”, “Tutti a  casa” e “Lo scopone scientifico”. Allorquando diresse la riduzione televisiva del libro “Cuore” di E. De Amicis fece interpretare al nipote la parte di Enrico Bottini. Quest’ultimo, diligente e buono, un poco altezzoso (proprio come il Calenda da adulto), rappresentava, nel romanzo, l’espressione della borghesia illuminata. Tra i suoi compagni spiccava l’umile Garrone, il gigante buono della classe, espressione del proletariato. Ecco al Bottini di turno avremmo preferito un Garrone che si fosse sporcato le mani nel lavoro, per redimere le miserie della politica politicante.

*già parlamentare

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