NAPOLI (Marcello Altamura) – C’è un cartello, a metà di viale Kennedy, arteria centrale di Fuorigrotta. E’ orizzontale e bianco ma la scritta e la freccia sono in nero. Chi lo guarda sgrana gli occhi: c’è scritto “Palargento” e la freccia indica di proseguire dritto. Il paradosso è che quel cartello è un ‘pezzotto’. E come ogni falso che si rispetti è assolutamente conforme all’originale sebbene non lo sia. Già, perché nella toponomastica ufficiale del Comune di Napoli, la meta indicata dal cartello si chiama palasport Mario Argento, Palargento per brevità. Ma, soprattutto, quello che un tempo era il principale impianto sportivo indoor della città, è solo un parco archeologico moderno a cielo aperto. Un ferita aperta e sanguinante nel cuore della città. Una ferita che da 20 anni non smette di far male.
L’ultimo respiro del gigante
Domani, saranno esattamente venti anni dalla chiusura del Mario Argento. L’ultima mandata la sera del 6 giugno 1998 dopo l’ultimo incontro del trofeo Italia di pugilato, l’ultimo evento sportivo ospitato dall’impianto, l’ultimo respiro del gigante di Viale Giochi del Mediterraneo. Il pesante cancello in ferro di colore azzurro fu sprangato ma nessuno poteva sapere che sarebbe stato in maniera definitiva. Il vecchio palasport, ‘puntellato’ da quattro piloni di cemento armato dopo il terremoto del 1980 e tenuto in piedi tra mille crepe con agibilità sempre a tempo determinato, chiudeva i battenti ufficialmente per essere sottoposto a lavori di adeguamento alle norme antisismiche. Un intervento di routine o almeno così credeva. Invece, dopo venti anni, siamo ancora qui a guardare un ammasso di ruderi.
Canestri, pugni, racchette e rock
Quel 6 giugno 1998, Napoli non perse solo un palasport, che sino ad oggi l’ha privata di eventi sportivi e culturali, ma anche un pezzo della sua storia. Costruito per i Giochi del Mediteranneo del 1963, viene inaugurato il 22 settembre di quell’anno: prima un match di pugilato, poi la sera stessa, la gara di basket Italia-Siria, 78-49 il finale. E’ l’inizio di una storia gloriosa e sfaccettata, la storia di un impianto che ospita basket, boxe, scherma e una miriade di sport indoor. Diventa un crocevia di eventi, sportivi e non, un punto di riferimento per generazioni di napoletani che su quelle gradinate in cemento vivono sogni, emozioni, delusioni.
A metà degli anni ’60, ecco la grande epopea della Partenope: una Coppa Italia e la Coppa delle Coppe nel 1970, 15mila spettatori stipati sugli spalti a seguire le magie di Jim Williams e Manfredo Fucile. E poi la musica, i grandi concerti rock: i Genesis e i Van Der Graaf Generator e poi ancora Fabrizio De Andrè e la PFM, Pino Daniele e Antonello Venditti. Dopo la spallata del terremoto, nel 1981 ecco il grande tennis: il 17 ottobre 1981 Adriano Panatta batte Bjorn Borg nell’incontro clou di un torneo che vede in campo tutte le stelle della racchetta dell’epoca. E poi ancora Lendl, McEnroe, Nastase, Barazzutti e Orantes. Sull’onda dell’entusiasmo c’è chi parla di montare un campo in terra rossa al posto del parquet per giocare a Napoli la Coppa Davis.
Il lungo addio
Negli stessi anni, inizia la rinascita del basket: 12mila spettatori assistono, il 27 ottobre 1985 a MuLat-Bancoroma, 82-83 il finale. L’assalto al botteghino si verifica anche per le tradizionali sfide per beneficenza tra Napoli Calcio e Napoli Basket, con Diego Maradona in posa accanto al gigante Tonino Fuss. E la stessa marea di spettatori nel 1986 spinge il campionissimo Patrizio Oliva alla vittoria su Brian Brunette. Il Mario Argento, con i suoi acciacchi, resta un riferimento. E’ la casa del basket ma anche del volley maschile, accompagnando la scalata della Com Cavi e ospitando la Final Four di Coppa Italia. Ma la fine è vicina: il 16 aprile 1998, l’ultima partita di basket, Pasta Baronia Napoli-Serapide Pozzuoli 82-73. Poco meno di due mesi e arriva la chiusura. E stavolta è definitiva.
Promesse e speranze nel lungo oblio
Inizia nel 1998 per il Mario Argento un’altra storia, una storia di chiacchiere e promesse, speranze e oblio. Nel 2000 il Comune di Napoli stanzia, grazie a un accordo con l’Istituto per il Credito Sportivo e il Coni, 60 miliardi di lire in tre anni per dare la possibilità a molti impianti di essere ristrutturati. Si paventa una ristrutturazione veloce, col Palargento pronto nel 2001. A dicembre arriva anche l’aggiudicazione del progetto: l’architetto fiorentino Giovanni Corradetti disegna un impianto con una curva in meno ma con un tetto “a dorso di balena” in prestigioso legno norvegese. Di lavori, però, non se ne parla.
Nel 2003 Mario Maione, tornato in A col Napoli Basket, risolleva il problema: otterrà il PalaBarbuto, struttura provvisoria divenuta l’unico palasport di Napoli, ma in compenso nel febbraio 2005 viene presentato in pompa magna il plastico del nuovo Palargento. Qualcosa si muove: comincia l’abbattimento, siamo al 2005. Poi, improvviso, lo stop: bisogna riaggiornare il progetto alle nuove leggi antisismiche regionali, si parla di ‘salvare’ le due tribune, che infatti sfuggono alla demolizione. Da allora, il tempo pare essersi fermato. I ruderi restano in piedi e nel 2011, un’inchiesta di Cronache svela che all’interno dello ‘scheletro’ vivono clochard e sbandati. Sette anni dopo, la storia non è cambiata e lo scempio è sempre lì. Da venti anni.