‘Ndrangheta e appalti per le ferrovie, nell’indagine spuntano gli Esposito

Oscar e Salvatore di San Felice a Cancello rispondono di associazione a delinquere. L’ipotizzata cricca di cui avrebbero fatto parte per la Dda ha gestito illegalmente in monopolio i lavori di manutenzione banditi da Rfi

SAN FELICE A CANCELLO – Non arriveranno sempre in orario, molti sono lenti, in alcune zone a dir poco malmessi, ma, attraversando l’Italia (quasi) nella sua interezza, ai treni va dato un merito importante: hanno aiutato ad unirla. E l’immensa rete di binari sui quali si muovono ogni giorno, dice la Direzione distrettuale antimafia di Milano, ha ingolosito la ‘ndrangheta. La mafia calabrese si sarebbe insinuata negli appalti per i cantieri di manutenzione gestiti da Rete ferroviaria italiana (ritenuta parte lesa), arrivando a tracciare, grazie alla presunta compiacenza di colossi imprenditoriali, un piano di spartizione: ogni gruppo avrebbe avuto in consegna la gestione di un preciso territorio. E grazie ad un’intesa raggiunta a tavolino, gli uomini d’affare, ha ricostruito la Dda, hanno gestito in regime di monopolio l’aggiudicazione delle commesse per gli interventi di armamento e manutenzione della rete. E subappaltando i lavori ad altre aziende più piccole, ritenute vicine alla mala calabrese, con parte dei profitti ottenuti, avrebbero foraggiato le casse della ‘ndrangheta. A svelare questo ipotetico sistema è stata l’indagine coordinata dal pm Bruna Albertini e realizzata dai Nuclei di polizia economico-finanziaria di Varese e Milano.

L’operazione delle fiamme gialle ha portato il gip Giuseppina Barbara del Tribunale di Milano ad ordinare, ieri mattina, l’arresto di 15 persone (11 in carcere e 4 ai domiciliari). Per altre 19 coinvolte nell’inchiesta, invece, nonostante le istanze della Procura, non sono state disposte misure e restano indagate a piede libero: tra loro ci sono tre businessman legati alla Campania. Si tratta di Rosario Morelli, 77enne (in realtà residente a Campobasso), rappresentante legale dell’Armafer, destinataria diretta delle commesse di Rfi, e dei fratelli Oscar Esposito, ingegnere  67enne, residente a Caserta, vicepresidente e direttore della produzione della Globalfer, e Salvatore Esposito, avvocato 69enne, che vive a San Felice a Cancello, rappresentante legale del Consorzio Armatori Ferroviari Scpa (che ha il 37,5 percento della Globalfer). Stando alla tesi della Procura distrettuale di Milano, hanno fatto parte dell’ipotizzata associazione a delinquere che, facendo incetta di appalti da Rfi e cedendoli, in parte, ad altre società, avrebbe favorito gli interessi della ‘ndrangheta nella sua articolazione di Nicoscia, vicina agli Arena di Isola Capo Rizzuto (entrambe le formazioni sono alleate della cosca Grande Aracri).

Ad animare la cricca di imprese, ritengono le fiamme gialle, ci sarebbero state proprio l’Armafer di Morelli e la Globalfer degli Esposito, oltre la G.C.F. Costruzioni Generali, la Gefer e l’Euroferroviaria. Queste società, dando fede alla ricostruzione dell’Antimafia, si sarebbero illegalmente spartiti i lavori di armamento e manutenzione dei binari.
Nella presunta associazione, dicono gli inquirenti, Morelli era delegato a seguire gli affari in Campania e gli Esposito, con radici nella Valle di Suessola, ad occuparsi di varie zone del Sud, tra cui sempre la Campania e la Sicilia. La rete di imprese, afferma la Dda, è riuscita ad aggiudicarsi le commesse di Rfi attraverso la realizzazione “di una serie indeterminata di reati di natura fiscale (emissione di fatture per operazioni inesistenti, compensazioni di debiti erariali e contributi previdenziali con falsi crediti Iva, bancarotte, riciclaggio, intestazione fittizia di beni, corruzione tra privati e somministrazione fraudolenta del lavoro)”.


Tra le persone finite sotto inchiesta c’è anche un terzo casertano: si tratta di Domenico Iannelli. La Dda gli contesta il reato di furto in concorso con altre 7 persone: avrebbero organizzato dei raid sui cantieri per appropriarsi di macchinari e attrezzature appartenenti a società per le quali a vario titolo effettuavano i lavori. Gli Esposito e Iannelli, nonostante l’indagine, sono da considerare innocenti fino a prova contraria.

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