Quei direttori generali parafulmini di De Luca

C’era una proposta di legge, della quale stava svogliatamente discutendo questo parlamento prima che Draghi fermasse la giostra, che provava a riformare le nomine in sanità, il peccato originale di ogni disservizio. Nelle intenzioni della prima firmataria Mariolina Castellone (M5S) bisognava dire basta alle “nomine politiche” attraverso l’adozione di criteri che sono stati sostanzialmente accolti nell’articolo 21 del Decreto Concorrenza. Criteri che rispondono sostanzialmente a prove selettive, procedure concorsuali, sistemi che dovrebbero evitare quello che accade oggi: e cioè che il principio alla base della attuale gestione delle aziende sanitarie è fiduciaria, con il presidente della Regione che nomina i direttori generali delle aziende sanitarie e degli ospedali e il direttore generale che nomina, altrettanto fiduciariamente, direttore sanitario e direttore amministrativo.

Un sistema, lo capiscono pure i bambini, che non permette alcun intervento migliorativo o di rimozione del problema, perché la parola d’ordine è: negare, negare, negare sempre. Spieghiamo brevemente e senza giri di parole come funziona: un utente della sanità pubblica rileva un disservizio, lo fa presente ai responsabili e la segnalazione arriva sulla scrivania del direttore generale. Quest’ultimo, il manager nominato dal governatore, per affrontarlo, deve ammettere che qualcosa non funziona, perché evidentemente non è stato in grado di gestire il problema.

Quale direttore generale andrà quindi ad autodenunciarsi a colui che lo ha voluto in quel ruolo? Nessuno, è ovvio. Nessun miracolato della politica andrà mai dalla politica a dire che qualcosa non funziona, perché dieci minuti dopo sarebbe disoccupato. E senza uno stipendio che mediamente si attesta sui 250mila euro l’anno. La segnalazione cade nel vuoto, il dg continua a stare al suo posto e il governatore può vantarsi della sua sanità “migliore di quella della Svezia”. Occhio non vede, cuore non duole. Ecco perché i signori manager negano l’evidenza persino davanti alle immagini.

Al Cardarelli ci sono cento barelle nell’androne del Pronto Soccorso? Il direttore generale dirà che sono fortunati e bravissimi ad averne cento, di solito ce ne sono 150. E quindi non si porrà proprio il problema di rimuoverle, o De Luca lo rimuoverà dalla sua poltrona. Del resto, quello che ha detto il governatore qualche giorno fa la dice lunga: “ Quello dell’ingolfamento dei pronto soccorso è un problema dell’Italia intera, però solo il Cardarelli finisce sui giornali per cinque ore di attesa”. La volontà di renderci rassegnati davanti a quello che non va è un altro punto dolente di questa vicenda, che vi di pari passo con la volontà di zittire quei pochi che ancora parlano e denunciano. Gli altri tutti zitti, le prebende fanno sempre effetto.

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