Riciclato in Cina il denaro di aziende legate al clan dei Casalesi frodato al fisco

Agli intermediari che garantiscono il rientro dei capitali una quota del 6 per cento. Il flusso di quattrini verso oriente emerso nell’attività investigativa che ha portato in cella l’imprenditore Antonio Caliendo

Foto LaPresse - Marco Cantile

CASAL DI PRINCIPE – Le fatture false emesse da società ‘cartiere’: sono solo il primo passo per permettere a imprese, spesso in odore di mafia, di frodare il fisco. Per completare l’operazione, infatti, è necessario l’intervento di complici che si occupano di prelevare fisicamente il denaro provento di evasione. E il loro coinvolgimento comporta una spesa. L’uomo d’affari, per riavere quei soldi fatti scomparire agli occhi del fisco, deve pagare. A rivelare a quanto ammonterebbe questo prezzo è stato Antonio Caliendo, imprenditore di Casal di Principe, ora in carcere cautelarmente con l’accusa di riciclaggio, trasferimento fraudolento di beni ed emissione di false fatture (reati che avrebbe commesso per agevolare il clan dei Casalesi). Viene intercettato mentre parla con Nicola Schiavone, alias ‘o russ, imparentato con la famiglia del capoclan Francesco Schiavone Sandokan e imprenditore già condannato per mafia nell’ambito del processo ‘Normandia’ (dal 2022 è di nuovo in cella con una seconda accusa di associazione mafiosa). ‘O russ lo informa dell’intenzione di voler usare fatture false in relazione a dei lavori che, grazie a una società intestata a un prestanome, aveva ottenuto a Capodrise e a Casal di Principe; Caliendo si mostra disponibile ad emetterle con una delle sue ditte, ma chiarisce che, dovendo chiedere supporto ad altre persone, e trattandosi di cittadini cinesi, bisogna prevedere una spesa del 6 per cento.

Le somme di denaro finite in Cina, relative al pagamento di false fatture per evadere le imposte emesse da società cartiere, cioè attive solo su carta ma di fatto vuote, rappresentano l’oggetto di un’indagine investigativa, ancora in corso, su cui lavora la guardia di finanza coordinata dalla Dda di Napoli.

Le tracce finora raccolte dagli inquirenti delineano un flusso di denaro che ditte vicine ai Casalesi, grazie a intermediari, farebbero arrivare in oriente: qui viene ripulito e successivamente restituito agli imprenditori (in cambio di una ‘tassa’). Questi elementi, da approfondire, sono contenuti nell’indagine condotta dalle fiamme gialle del Nucleo di polizia valutaria di Roma, che ha portato all’arresto di Caliendo e dell’imprenditore Antonio Luca Iorio, di Calvi Risorta. Ai domiciliari, invece, sono finiti Gaetano Marraprese, 48enne di Pastorano, Ersilia Carano, 58enne di Casale, Nicola Ferri, 69enne di San Marcellino, Nicolino Iorio, 78enne di Calvi (padre di Luca Antonio), Alfonsina Russo, 33enne, e Delisa Silvana Corvino, 67enne, entrambe di Casal di Principe. Sono accusati, a vario titolo, di riciclaggio di denaro, frode fiscale e intestazione fittizia di beni. Logicamente, i destinatari delle misure cautelari sono da considerarsi innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo gli avvocati Carlo De Stavola, Mirella Baldascino, Pasquale Diana, Giuseppe Stellato e Claudio Botti.


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