Riforma Cartabia, il pm Visone: “E’ un’amnistia mascherata. Sui processi effetto mannaia”

L’intervista a Giuseppe Visione, sostituto procuratore presso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli. L’improcedibilità non convince il pm: “Serviva diluire l’area del penalmente rilevante”

CASERTA – Velocità: è la parola chiave (desiderata) della riforma Cartabia. Garantirla alla giustizia non è assolutamente semplice. E già nella sua applicazione, infatti, ne ha due distinte. Perché il primo articolo definisce i contorni delle ‘legge delega’ che il governo dovrà esercitare nei prossimi mesi. E contiene, sostanzialmente, la parte più importante delle modifiche che interessano il processo penale: i riti alternativi, la rinnovazione della prova in presenza di modifiche del collegio, rivede i tempi dell’indagine preliminare, il ruolo del gip. Insomma, aspetti cruciali. Il secondo articolo, invece, è immediatamente precettivo: parte subito e riguarda la cosiddetta improcedibilità. E a Giuseppe Visione, sostituto procuratore presso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, non convince troppo: “Dal mio punto di vista presenta una serie di criticità”.

Quali?
A situazione delle Corti esistente, introdurre un meccanismo, seppur graduato, di improcedibilità, decorso un determinato periodo di tempo, significa di fatto dare il via ad un’amnistia mascherata. In media, le Corti d’appello di Roma, Napoli e Torino, che detengono la maggior parte del carico di lavoro nazionale, impiegano dai 3 ai 4 anni per attivare la procedura da quando ricevono il fascicolo dal primo grado. Parlo logicamente di processi a carico di persone libere.

E troppi non arriveranno mai a sentenza.
E’ una mannaia. Ci possono essere dei Tribunali assolutamente virtuosi, che licenziano una sentenza in due anni, due anni e mezzo dal fatto. Nel momento in cui interviene la sentenza di primo grado, e prendiamo il caso che si tratti di una condanna, scatta il meccanismo dello stop alla prescrizione. A quel punto, a pieno regime della nuova norma, la Corte d’appello, per i cosiddetti reati comuni ha due anni, più uno eventualmente prorogabile, per emettere la sentenza. Calcolando i due anni e mezzo per attivare il secondo grado, più i tre anni per celebrarlo, rischieremmo di avere un processo sterilizzato in una durata inferiore rispetto al termine massimo di prescrizione. E’ una follia.

E’ un caso limite, ma la possibilità che si verifichi è alta. E situazioni del genere interessano reati che toccano la quotidianità dei cittadini. L’amministratore che sottrae denaro dalla cassa del condominio, l’intermediatore che si appropria dei risparmi di una vita di un pensionato, il ladro… Insomma, la farebbero franca.
Esatto.

L’obiettivo del governo era velocizzare il processo.
E in questo modo, a mio avviso, non lo ha raggiunto. La sensazione che ho, invece, è che c’era l’esigenza di mandare un segnale all’Europa per ottenere i soldi del Recovery. E’ una riforma ad uso e consumo per l’Europa. La verità, ripeto, è che è una mannaia che si butta sui processi. Tanto valeva, ma ovviamente non c’è il coraggio di farlo, che si amnistiasse una parte di reati e si procedesse ex novo, organizzando in maniera diversa il processo. Così rischiamo di introdurre un meccanismo constante di tagliola. E quello virtuoso, sperato, si allontana anni luce. Non è mettendo dei paletti, dei termini ex lege che i processi diventano più veloce.

C’è un altro aspetto della riforma, a mio avviso importante, con il quale si cerca di dare più peso alla politica nelle azioni delle Procure: gli uffici del pubblico ministero dovranno individuare priorità “trasparenti e predeterminate” con lo scopo di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre.
Le cosiddette priorità sono già presenti all’interno dei progetti organizzativi e sono un misto di quelle ‘legali’, contenute nel codice, e quelle che ogni Procura fa in relazione alle esigenze del territorio su cui ha competenza.

La previsione normativa aggiunge un passaggio non irrilevante. Dice che dovrà farlo nell’ambito di criteri generali indicati con legge del Parlamento.
Ma nulla cambia in presenza del vincolo costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Quello è e resta il faro di ogni sostituto procuratore. Si è voluto che queste priorità, non sempre espresse in maniera chiara, si muovano all’interno di una cornice parlamentare. Tuttavia se non si modifica la costituzione, nessun sostituto sarà obbligato a perseguire un reato piuttosto che un altro.

Ma è un segnale…
Si, ma non viene fatto lo step successivo. Se si ritiene che l’obbligatorietà abbia fatto il suo tempo, bisogna intervenire in maniera diversa.

La riforma è tutta da ‘buttare’?
No. E’ apprezzabile, ad esempio, lo sforzo fatto sui riti alternativi. La strada intrapresa è quella giusta. Anche se avrei fatto di più. E’ stato introdotto il ‘patteggiamento allargato’. Bene. Ma resta l’impossibilità di accedervi quando si tratta di determinati reati. Sarebbe stato utile, invece, fornire carta bianca a pm e difese, logicamente con la supervisione del giudice, per poter tentare la via del patteggiamento anche quando i reati contestati sono particolarmente gravi. Buona anche la scelta in caso di abbreviato con rinuncia all’Appello di concedere un ulteriore sconto di un sesto della pena prevista.

Un aspetto non toccato dalla riforma e che, invece, andava necessariamente affrontato?
Serviva diluire in maniera seria l’area del penalmente rilevante. In Italia è tutto reato penale. Anche andare caccia con un richiamo acustico prevede l’intervento del giudice penale e tre gradi di giudizio. Se non agiamo sulla domanda di giustizia, il problema non sarà mai risolto. Il flusso di notizie di reato resterà tale da non essere gestibile né dalle Procura né dai Tribunali.

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