Roma, faida per il controllo della droga a Tor Bella Monaca: agguato contro un uomo del clan Moccia

ROMA – Salivano a turno, gli escursionisti della mala afragolese che all’epoca si era appena sbarazzata dei Magliulo. Lo facevano per sondare il terreno e stringere amicizie. E per prendere dimestichezza con la metropoli, per calarsi in una nuova realtà fatta di asfalto e cemento. Quando negli anni Ottanta iniziarono a muoversi oltre il Garigliano avevano ben chiari gli obiettivi da raggiungere: prendersi Roma, ma soprattutto assicurarsi un regno solido e un futuro prospero. Insomma, non una presenza estemporanea. Non una comparsata, ma ruoli da protagonisti assoluti. Da mattatori. Ci sono riusciti. Tant’è che oggi sono a tutti gli effetti due i rami del clan Moccia: gli afragolesi e i romani. Inutile dire gli elementi che tengono unita la famiglia nonostante i duecento chilometri di distanza. Ma anche nei capitolini si possono distinguere diversi sottogruppi: esistono i pariolini, quelli di Ponte Milvio-Corso Francia-Collina Fleming, gli amici di Prati (le fazioni della Roma ‘in’, quelli di Moccia Fruit e dei ristoranti di lusso per intenderci), i ragazzi di San Giovanni, e poi ci sono i parenti di Centocelle e Tor Bella Monaca. Ed è proprio a ‘Torbella’, per dirla con lo slang del posto, che la presenza degli ‘ex afragolesi’ sembra non essere più gradita. Qualcosa si è rotto negli ingranaggi criminali all’ombra delle palazzine della periferia orientale di Roma. Martedì pomeriggio un agguato è stato teso ai danni di Giuseppe Moccia, 38enne dal ricco e rispettabile curriculum criminale: è considerato uno dei signori della droga del quartiere. Tornato in libertà da circa un mese, Moccia è stato ferito a colpi di arma da fuoco mentre percorreva a piedi via dell’Archeologia. Un proiettile lo ha centrato al gluteo destro, niente di troppo preoccupante. L’uomo si è recato in maniera autonoma in ospedale, precisamente al vicino Policlinico di Tor Vergata, dove i medici gli hanno prestato le cure del caso. Non è in pericolo di vita, se la caverà.

Le indagini
Quando attorno alle 16 di martedì i carabinieri sono arrivati in via dell’Archeologia (strada che ritorna spesso nella vita di Giuseppe Moccia) il 38enne era già sparito. A terra gli investigatori hanno comunque repertato dei bossoli e tracce ematiche. La macchina delle indagini parte, come sempre, dagli elementi certi: non volevano ucciderlo, è poco ma sicuro, altrimenti lo avrebbero fatto. Allora volevano mandargli un messaggio, recapitargli un ultimatum: sì, ma perché? Per dirgli cosa? Forze dell’ordine e inquirenti hanno pochi dubbi a riguardo. Il ferimento di Giuseppe Moccia sarebbe la prima scossa di un terremoto pronto a scoppiare nel sottosuolo degli affari legati agli stupefacenti. E non è un buon segnale nemmeno per Napoli, si apprende dai ‘sismografi’. In caso di scontro nella Capitale tra partenopei, gli effetti si sentirebbero anche all’ombra del Vesuvio. Tornando a Giuseppe Moccia, proprio per spaccio e proprio in via dell’Archeologia fu fermato il 13 novembre 2019 dai finanzieri del gruppo Pronto Impiego al termine di una ‘picchiata’ mirata a smantellare la piazza di spaccio. Nell’appartamento dell’allora 36enne le fiamme gialle trovarono poco meno di 125 grammi di cocaina nascosti in una confezione di tarallucci. Finì in cella.

Il ruolo delle istituzioni
Si scrive ‘Tor Bella Monaca’, si legge ‘spaccio’. Lunedì sera i carabinieri hanno sgominato una banda che smerciava stupefacenti in via dell’Archeologia. Una ‘batteria’ piccola (solo cinque uomini), ma ben rodata, hanno spiegato gli investigatori a blitz compiuto. Tra i due episodi potrebbe esserci un fil rouge. Oltre alla sfilza di inchieste e scatti di manette, a dicembre lo Stato aveva mostrato i muscoli proprio al cospetto degli (ex) afragolesi di Tor Bella Monaca con la chiusura del Bar Moccia (in via Giovanni Castano, pochi passi dal luogo del raid) ad opera del personale di questura e prefettura. Il locale fu “ritenuto ritrovo di persone pregiudicate e pericolose”. Il provvedimento è stato poi sigillato tre settimane fa con la revoca della licenza. “Secondo le indagini – ha commentato quel giorno il sindaco Virginia Raggi – questo posto era da diverso tempo anche una base di spaccio di droga”.

Il potere del clan
Ma quanti ne sono? Sembra non finire mai la lista degli affiliati del clan Moccia. Una famiglia capace di governare gli affari illegali dalla provincia di Napoli a Roma, di fare guerre e vincere conflitti, di insanguinare le strade dell’hinterland nord, e al momento giusto di indossare colletti bianchi ‘ripulendosi’ e mischiandosi alla perfezione all’alta borghesia della Roma ‘da bere’. I super boss sono tutti dentro, ora avanzano i rampolli, i figli dei padrini. Sono gli eredi naturali dell’Impero costruito da Anna Mazza, la ‘signora’ – vedova di Gennaro Moccia, caduto nel ’74 durante la faida coi MagliuloGiugliano – assieme ai figli Luigi (Gigino), Angelo (detto Enzo), Antonio e al genero Filippo Iazzetta. Ma è la manovalanza dai grandi numeri la vera arma inesauribile del clan. L’attentato all’ala subito al di qua del Grande Raccordo Anulare non è un buon presagio per la società civile. E’ la storia a dirlo.

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