Rugby, Mondiali al via: sfida alla ‘marea nera’ All Blacks

Il Sudafrica che vedremo ai Mondiali non è certo quello che finì battuto dall’Italia tre anni fa a Firenze: da allora la squadra ha subito una trasformazione

Wasps' Nathan Hughes is tackled by Zebre's Josh Furno (left) and Gabriele Di Giulio (right) during the European Champions Cup, pool two match at the Ricoh Arena, Coventry. PRESS ASSOCIATION Photo. Picture date: Saturday October 15, 2016. See PA story RUGBYU Wasps. Photo credit should read: David Davies/PA Wire

MILANO – La solita ‘marea nera’ da arginare nella sua onnipotenza ovale fatta di talento e genialità, compattezza e atletismo al servizio della fantasia. Resta sempre questa l’immagine iconica con cui ogni quattro anni il Mondiale di rugby si presenta ai suoi appassionati allargando i suoi confini. Ma mai come in questa nona edizione, al via il 20 settembre in Giappone, la distanza tra i miti All Blacks e i ‘comuni mortali’ si è così ridotta.

Il terzo evento più seguito

Terzo evento più seguito dopo Olimpiadi e Coppa del Mondo di calcio (800 milioni di potenziali telespettatori per circa 217 Paesi collegati, 2 milioni e mezzo di richieste su un totale di 1,8 milioni di biglietti disponibili e l’arrivo di 400 mila tifosi) ma ancora incapace di rinnovare la platea dei partecipanti (19 delle 20 squadre sono le stesse della passata edizione con la Russia al posto della Romania), la Rugby World Cup che per la prima volta verrà ospitata in terra asiatica, nel Paese che si appresta tra un anno ad organizzare i Giochi, mantiene l’iconografia della Nuova Zelanda in copertina. È quella degli Invincibili, vincitori delle ultime due edizioni del torneo da loro conquistato tre volte (la prima in quella d’esordio del 1987). E pronti a strapazzare gli avversari. Eppure i rischi di un possibile fragoroso inciampo (poco tollerato in una nazione che vive di rugby e che ha già vissuto crisi di governo per le cadute delle sue divinità come nel 2007) ci sono.

Le squadre più in forma

Il ‘Brasile’ della palla ovale, con una percentuale di vittorie che si mantiene imbarazzante (sfiora l’80%) corre il pericolo di essere vittima della sua stessa superiorità e negli ultimi mesi ha mostrato crepe (le due sconfitte ad agosto con Australia e Sudafrica nell’ultimo Championship) su cui gli avversari sognano di infiltrarsi per cercare un segno di debolezza, un margine per trovare spazi di gloria. Le più agguerrite e attrezzate per scalfire le certezze All Blacks sono Sudafrica e Inghilterra, con Galles e Irlanda un gradino più in basso e i Wallabies e la Francia in second’ordine. Il XV della Rosa è da quattro anni che lavora per confezionare una rivincita: nel mondiale in casa del 2015 uscì disgraziatamente nella prima fase e da allora molto è cambiato, dall’impostazione mentale al ct.

Il girone degli All Blacks

Il ruolo di salvatore della Patria è stato affidato a Eddie Jones, padre australiano e madre giapponese, l’uomo dei miracoli colui che quattro anni fa alla guida dei ‘Brave Blossoms’ riuscì a battere il Sudafrica in una sfida memorabile che Tokyo e dintorni sognano di ripetere. Proprio gli Springboks, finalisti in quella edizione e inseriti nello stesso girone con gli All Blacks (e ahinoi, l’Italia), sono i veri interpreti del gioco tutto forza e autoscontro. Sono reduci dal successo nel Championship e hanno mostrato ampie potenzialità di crescita sotto la guida di Rassie Erasmus, alle prese con le ‘quote nere’ imposte dal governo che approvò un piano all’insegna della ‘discriminazione positiva’ per favorire l’inserimento di giocatori di colore in uno sport quasi per bianchi.

Il Sudafrica

Il Sudafrica che vedremo ai Mondiali non è certo quello che finì battuto dall’Italia tre anni fa a Firenze. Da allora la squadra ha subito una trasformazione sfruttando la potenzialità enorme del suo bacino di utenza. Irlandesi e gallesi godono invece di una straordinaria imprevedibilità. Nell’ultimo mese si sono avvicendate nello spodestare proprio gli All Blacks dal primo posto nel ranking che fino a tre settimane fa mantenevano incustodito da circa 10 anni (prima il Galles e poi il XV del Trifoglio, attuali numeri 1). Impresa non da poco, frutto anche di un lavoro di entrambe le nazionali che arriva da lontano. Non a caso si sono aggiudicate le ultime due edizioni del Sei nazioni con Grande slam incluso.

I Dragoni di Warren Gatland – che lascerà la panchina gallese dopo 12 anni di successi – appaiono i veri outsider. Nelle ultime stagioni non sono sembrati essere la squadra più attrezzata o più talentuosa, ma semplicemente la migliore a giocare a rugby. E nella maniera più cinica possibile. L’ultimo 6 Nazioni vinto lo hanno centrato senza eroici furori, ma con la pianificata calma della strategia. Resta da capire quanto possa incidere sul campo lo scandalo che ha coinvolto martedì scorso il viceallenatore Rob Howley, candidato alla guida dell’Italia. E indagato dalla federazione internazionale per scommesse e cacciato dal’entourage gallese dal ritiro.

Gli appuntamenti da non perdere

Le prime sfide comunque non dovranno tracciare subito delle sentenze. Il mondiale di rugby è il più lungo evento previsto dal calendario sportivo (sei settimane, neanche le Olimpiadi sono così diluite). E serve un crescendo di forma per arrivare fino in fondo per legittimare ambizioni da podio. Per questo gli All Blacks, incerti nell’ultimo mese da sembrare quasi ‘umani’, restano i favoriti. Il girone degli azzurri però traccerà già una linea: Nuova Zelanda e Sudafrica, nello scontro diretto nella pool si giocheranno tantissimo. Perché chi vince incrocerà verosimilmente poi la Scozia, mentre chi perde è destinato a sfidare l’Irlanda. E questo è già un bivio che avrà il suo peso nell’economia della più suggestiva delle World Cup.

(LaPresse/di Luca Masotto)

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