n quel brutto luogo di discussione che è Facebook, ho perso minuti preziosi in una giornata complessa per discutere con un tale dal nome alquanto comune di come la sinistra dovrebbe affrontare il referendum previsto per domani 12 giugno e ho scoperto da questo sedicente “studioso di tattiche di Lenin e Trotsky” che l’unica strategia attuabile è affossare il referendum. Ammetto, non ho frequentato il dopolavoro ferroviario e i circoli del Partito Comunista nel 1970 come probabilmente il mio interlocutore, perso ancora oggi in una contrapposizione bipolarista che si riflette in un blocco sinistra contro destra o oppressi contro oppressori, avrà fatto. Ma, perdendosi in una questione dai sapori totalmente retrò, il buon uomo non ha compreso che il non-voto, così come è declinato, vuol dire togliere a me l’opportunità di dire la mia, alle urne come il nostro sistema prevede. Togliere parola all’altro non può mai essere una strategia degna di un sistema democratico: dire consapevolmente la propria invece sì.
Perché, diciamocelo, è vero che il problema sta tutto lì: nel quorum. Quel quorum che – election day a parte – sarà difficile da raggiungere e può far parlare di “strategie” per affossare il referendum a chi, Trotsky a parte, sa di poter contare sugli ignavi, il partito del non-voto, anzi il partito del non-voto non consapevole per essere precisi. Un partito del non-voto che – l’AGCOM ha confermato – essere foraggiato in maniera determinante dalla scarsissima mole di informazione fatta dalle emittenti radiotelevisive sull’argomento.
Un esempio su tutti lo sintetizza dai dati AGCOM F-Mag: nel periodo che va tra il 15 e il 21 maggio “Lo spazio totale dedicato al referendum tra i TG Rai e Rai News 24 è di 48 minuti, 30 dei quali riconducibili a Rai News. Solo 48 minuti su un totale di 109 ore, 18 minuti e 37 secondi. In pratica, si è parlato del referendum solo lo 0,73% del tempo dedicato alla globalità degli argomenti”. E sono seguiti i richiami, in primis a mamma Rai che in parecchie di queste classifiche è riuscita nella straordinaria impresa da servizio pubblico di far peggio del privato. Si è rimediato? Non quanto si sarebbe dovuto. La consapevolezza del referendum è stata talmente stritolata tra cronaca (guerra, soprattutto) e sensazionalismo che un vantaggio c’è stato: la matrice politica dello stesso è stata ingoiata dal buio in cui lo stesso referendum annaspa. Il ché potrebbe permettere al singolo cittadino, oltre ogni starnazzamento, di comprendere cosa sta andando a votare e perché. Scopriremmo allora, con buona pace di chi vuole ancora due blocchi contrapposti, che questo referendum ha aspetti tutt’altro che sottovalutabili. Potremmo trovarci anche a sinistra persone che ravvedono del buon senso nelle parole di Silvio Berlusconi, che invita tutti ad andare a votare oltre ogni assordante silenzio. Bollare i cinque quesiti referendari come appannaggio di una parte politica o dell’intera classe di amministratori è un insulto al libero pensiero: questioni come “l’abuso” di custodia cautelare e la separazione delle carriere dei magistrati non sono certo “cose di destra” ma cose di interesse comune. Perché posso anche essere a favore della Legge Severino, non volerne in alcun modo l’abrogazione, ma al contrario ritenere indispensabile che magistrati e giudici di oggi non abbiano condiviso gli stessi uffici o preso il caffè allo stesso distributore in lunghe parti della loro carriera. Cose su cui ho la possibilità di esprimere il mio pensiero, anzi sono chiamato a farlo, e che per “giochetti politici” che di politico non hanno niente, nel vero senso del termine, o per inefficacia della comunicazione mediatica, finirò per fare probabilmente per mero sport. Infine, la ciliegina sulla torta: il ritenere che i quesiti referendari in nessun modo riguardino le nostre vite. La situazione della giustizia in Italia è un dramma perpetuo tanto da vincolare un asset del PNRR alla sua radicale riforma. Lo scorso 8 luglio la Commissione Europea “dava i voti” ai sistemi di giustizia dei Paesi membri e l’Italia si è posizionata spesso agli ultimi posti. Lenta, inefficiente, con pochi giudizi e troppe sospensioni, finanche digitalmente in affanno. Se ancora l’italiano non ha compreso che questi argomenti lo toccano da vicino, e che in ogni momento un italiano potrebbe trovarsi a fare i conti con la giustizia, almeno il sentirsi parte in causa di un cambiamento dovrebbe essere motivo sufficiente per recarsi alle urne. Quindi fatevi un favore, e fatelo anche a me: andate a votare. Anche per il giorno in cui sarà vostra la volontà di pronunciarvi su un argomento e qualcuno calpesterà quel diritto standosene a mare o, prepotentemente, a casa.