Caserta, scambio elettorale politico mafioso: Corvino in cella

Scambio elettorale politico mafioso, condannato Corvino
Scambio elettorale politico mafioso, condannato Corvino

CASERTA – La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati nel processo per lo scambio elettorale politico mafioso con i Belforte e per il racket sui manifesti elettorali; rinviato in Appello solo il procedimento per Zarrillo per la rideterminazione della pena. Il processo è quello dello scambio elettorale con la camorra che si è verificato durante la campagna elettorale per le Regionali del 2015. Condanna definitiva dunque per Pasquale Corvino, già vicesindaco di Caserta, più volte consigliere, che si candidò nel 2015 a sostegno del candidato del centrodestra Stefano Caldoro; per lui i giudici della Suprema Corte hanno confermato la condanna a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Dovrà scontare parte della pena in carcere. Stessa condanna confermata anche per l’ex sindaco di San Marcellino, Pasquale Carbone. Per entrambi il reato è quello di corruzione elettorale. Confermata anche la condanna sancita dalla Corte di Appello di Napoli inflitta il 17 giugno dello scorso anno a 15 anni di carcere per Agostino Capone, fratello di Giovanni (già condannato nel medesimo processo ma celebrato in modalità ‘abbreviata’), ras dei Belforte a Caserta. Sei anni, invece, per la moglie, Maria Grazia Semonella. Sarebbe stato proprio il ras del clan, dal carcere dove era detenuto, a dare indicazioni al fratello Agostino per fargli presidiare il territorio e organizzare la campagna di affissione dei manifesti. Campagna che avrebbe favorito la ditta intestata alla moglie. Chi non si rivolgeva all’impresa del clan veniva intimidito o vedeva coperti i suoi manifesti nel giro di poche ore, facendo sapere alle vittime che, incaricando loro, non si sarebbe verificato il problema. Coinvolti nel racket anche Antonio Zarrillo (a cui fu già rideterminata la pena nel processo in secondo grado con le altre sentenze passate in giudicato per un totale di 27 anni di carcere, torna in Appello per una nuova rideterminazione), Roberto Novelli, Paolo Cinotti e Silvana D’Addio, condannati rispettivamente a 4 anni e 5 mesi, 2 anni e 10 mesi di carcere. Tutti e tre, hanno beneficiato di uno sconto rispetto alla sentenza di primo grado. Corvino e Carbone, però, non pagano per essersi rivolti agli attacchini dei Belforte ma per aver chiesto e ottenuto, almeno in parte, tramite la loro ‘intercessione’, voti in cambio di versamenti di denaro e altre utilità. A difendere gli imputati sono stati gli avvocati Massimo Garofalo, Romolo Vignola, Franco Liguori, Dezio Ferraro, Federico Conte.

Quasi cinque anni fa la retata

Furono 19 gli indagati accusati a vario titolo dei reati di scambio elettorale politico-mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Gli arresti scattarono il 5 febbraio del 2019. Tra le persone coinvolte Pasquale Corvino e Pasquale Carbone, entrambi candidati con il “Nuovo Centro Destra – Campania Libera” durante le elezioni regionali del 2015. Entrambi furono ristretti agli arresti domiciliari e successivamente rimessi in libertà. La sentenza di primo grado arriverà il 25 giugno del 2021, lo scorso anno il verdetto in Appello. Quattro annui e 8 mesi a testa per Corvino e Carbone già al termine del primo grado di giudizio; pena confermata dalla cassazione ieri. Il pm Luigi Landolfi aveva chiesto la condanna per tutti gli 11 imputati. Corvino e Carbone rispondono di scambio elettorale politico-mafioso in concorso con due persone. Una di loro avrebbe promesso a Corvino, candidato alle Regionali nella lista di Ncd, di procurargli i voti di persone vicine al clan Belforte. Il tutto per 3mila euro, più buoni pasto e buoni benzina. L’altra persona avrebbe fatto la stessa promessa a Carbone, anche lui candidato nella lista di Ncd, in cambio di 7mila euro. Stando a quanto ricostruito dalla Dda, Agostino Capone, su indicazione del fratello Giovanni, che ha affrontato il processo con rito abbreviato, gestì l’affissione dei manifesti per le Regionali di 6 anni fa, imponendo, grazie al sostegno di complici, a vari candidati di incaricare la società Clean Service per tappezzare la città con i loro volti. Nell’ambito del procacciamento dei voti, di particolare interesse nelle indagini risultarono le conversazioni intercettate tra gli indagati, nelle quali Agostino Capone minacciava delle persone al fine di assicurarsi i voti: “Se non escono i voti devi vedere! Ti togliamo la macchina da sotto!”. A dimostrazione della forza intimidatrice utilizzata per ottenere i voti per Pasquale Corvino. Ulteriormente rilevanti sono le esternazioni sulle modalità con le quali sarebbe stato controllato il rispetto dei patti, cioè che i voti promessi a Corvino sarebbero effettivamente stati dati dagli elettori che avevano ricevuto i buoni spesa o carburante: “Li vado a prendere… li porto a votare fino a dentro! Con il telefono in mano faccio la foto, devo vedere sul telefono sennò non hanno niente!”. L’imposizione degli addetti all’affissione dei manifesti avveniva sia con intimidazioni esplicite, come captato nel corso delle intercettazioni, sia attraverso minacce rivolte ai singoli soggetti sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte, sia coprendo i manifesti affissi senza ricorrere alla loro società, facendo poi arrivare il messaggio che tale inconveniente non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla società Clean Service. Tale condotta, di fatto, ha limitato la libertà contrattuale dei candidati, i quali, pur di poter continuare a svolgere la campagna elettorale anche attraverso l’affissione di manifesti, erano costretti ad affidare l’incarico di stampa ed affissione ad una ditta non scelta liberamente. 

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