Se manca il Termidoro

Come in Italia anche in Francia, seppur con toni accesi e cruenti, a muovere la protesta popolare non è, come sembra essere, un sentimento rivoluzionario, una richiesta di maggiori diritti civili e di democrazia partecipata.

Vincenzo D'Anna

Risolvere il problema dei senzacasa, paga minima mensile da 1300 euro, sistema pensionistico socializzato e solidale per tutti, stipendi e pensioni collegati all’inflazione: sono alcune delle rivendicazioni che i cosiddetti “Gilet Gialli” hanno sottoposto ad Emmanuel Macron ed al governo del Primo Ministro Edouard Philippe. Un lungo elenco di ben 41 richieste. Più del doppio di quelle contenute nel Cahier de Doleances (Quaderno delle doglianze) che i Rivoluzionari Francesi presentarono al re Luigi XVI dopo aver conquistato la Bastiglia. Si può ben osservare che alcune di quelle richieste sono simili a quelle che il M5S ha cavalcato in campagna elettorale e che tuttora propone giunto al governo del Paese.

Come in Italia anche in Francia, seppur con toni accesi e cruenti, a muovere la protesta popolare non è, come sembra essere, un sentimento rivoluzionario, una richiesta di maggiori diritti civili e di democrazia partecipata. Quel che agita la protesta è invece un intento restauratore di vecchie abitudini, di pretese e vantaggi che lo Stato pauperistico ed assistenziale di un tempo garantiva a piene mani a discapito del debito Statale. Non c’è alla base della protesta nessun ragionamento particolare, nessuna teoria sociologica, politica oppure filosofica, intessuta da “maître a penser”, intellettuali che indicano la meta ed i mezzi per raggiungerla.

Al momento prevale il caos e l’improvvisazione. Esse sembrano essere il comune denominatore della protesta transalpina che, a differenza dell’Italia, ove si è alimentata sui social network, si manifesta con violenza nelle strade della capitale di Francia. Insomma, per farla breve, con le approssimazioni del caso, si tratta della richiesta di larghi strati della popolazione di voler vivere agiatamente a prescindere da ogni altra questione e possibilità, recuperare lo stile di vita ante crisi economica. Si passa dal reddito di cittadinanza alle pensioni (sociali), al diritto ad ottenere una casa, parcheggi gratuiti, isolamento termico delle abitazioni per il risparmio energetico, stipendi e pensioni agganciate socialmente al costo della vita, come variabile indipendente e tanto altro ancora. Ovviamente a scapito dei più ricchi, con la pretesa addirittura di livellare gli stipendi massimi a 1.500 euro mensili, tosare i grandi gruppi industriali e le grandi griffe che offrono lavoro e che pagano le tasse a coloro che le utilizzano.

Annullare i benefici fiscali ed i crediti di imposta come incentivi ai produttori e non potevano, demagogicamente, mancare i parlamentari ai quali assegnare uno stipendio parametrato al ceto operaio. Insomma, una sorta di capovolgimento di fronte, un ritorno alla demagogia socialista e proletaria, riproponendo i produttori di ricchezza come nemici del popolo bisognoso.

Ma non manca la spruzzata di sciovinismo, non guasta la parte gradita alla destra: più armi alla polizia, immigrati rimpatriati, corsi di Francese, Storia ed Educazione Civica per gli immigrati. Uno zibaldone che attraversa trasversalmente ogni programma politico ed ogni precedente teoria socio-economica, ogni identità e funzione dello Stato. Puntuali ogni domenica, i dimostranti sovvertono l’ordine pubblico, incendiano, mettono a soqquadro Parigi e chi più ne ha più ne metta.

Presto arriveranno anche gli intellettuali che daranno un sorta di interpretazione culturale di questa follia, senza capo né coda. Non a caso un economista noto come Jean Paul Fitoussi mette le mani avanti e rinnega la politica di Macron, definendolo un “imbecille che ha tradito i poveri”. In Francia ci furono i Sartre ed i Camus, le teorie esistenzialiste che diedero vita al maggio francese, alla rivoluzione studentesca nel 1968, un impronta culturale e filosofica che oggi manca e ci si muove alla rinfusa per rancore sociale. Scopriremo forse che questa è la rivoluzione del ceto medio, sia dei borghesi che dei proletari che avevano visto accrescere l’agiatezza della loro vita mediante le politiche delle elargizioni stataliste, che oggi stenta a veder riconfermato uno status sociale per sé e sopratutto per i propri figli. Si tratta del blocco dell’ascensore sociale, inceppato nei debiti stratosferici dello statalismo e delle conseguenti politiche di rigore.

Protestano perché l’ascensore non arriva, ma non vogliono sapere le cause che lo hanno bloccato. Vogliono reclamare quello di cui sentono di aver diritto ma che non c’è più, ovvero il danaro pubblico della spesa statale speso a debito crescente. Parigi in fiamme, in mano ai piccoli borghesi, vestiti da sanculotti, rappresenta comunque un elemento di contagio sociale per emulazione, un pericolo che può estendersi e che può far saltare per la stabilità monetaria dell’Euro.

La stessa sorte dell’Europa Unita è in ballo e sarà bene ricordarlo, ci consente di mantenere alquanto forte e competitiva l’economia e stabile la moneta di tutti gli europei. Non occorrono quindi ghigliottine nelle piazze ed arruffapopoli camuffati da Rosbespierre. Occorre invece un Termidoro, il tempo nel quale la moderazione prevalga sul sangue e sul terrore dei Robespierre da strapazzo.

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