Stop all’infodemia, dare notizie senza gettare letame

Quando l’eccezionalità diventa normalità, anche i virtuosismi lasciano spazio al solito bailamme. Ormai sono passati i tempi in cui la classe giornalistica nella sua totalità, galvanizzata dalla responsabilità di uno sconosciuto “nuovo coronavirus”, tralasciava qualche cattiva abitudine nel segno di una informazione improntata alla correttezza.

Ora che il sensazionalismo è tornato il leit-motiv dell’informazione online, in una giungla di titoli che non seguono alcuna linea logica e in apparente contraddizione l’uno con l’altro, in piena infodemia da terrore di nuova ondata, ecco che il teatrino del terrore sembra di nuovo prendere il sopravvento nelle nostre cronologie di navigazione. Anche quando non ve n’è motivo alcuno. Anche quando è assolutamente fuori contesto. Ed è quello che sta accadendo con la tossica narrazione dei viaggi all’estero.
Partiamo da un presupposto: è un anno e mezzo circa che siamo in pandemia. In questo anno e mezzo abbiamo avuto modo di conoscere e piano piano accettare una nuova normalità, assolutamente straordinaria, fatta soprattutto di limitazioni atte a contenere la diffusione del virus. Il ritorno alla vecchia normalità è l’obiettivo perseguito, e si conquista un passo alla volta: si esce da casa oltre un certo orario, ci si ferma di nuovo a mangiare fuori, si abbassa una volta in più la mascherina. Si torna a prendere un aereo.

Questo non vuol dire che il virus sia sconfitto, ahimé: sarebbe tutto più semplice. Questo vuol dire che col virus dobbiamo provare a conviverci mentre ripartiamo. E ben vengano quindi i controlli in aeroporto, i blocchi delle partenze, gli isolamenti in terra straniera. Fanno parte del gioco e vuol dire che il sistema di controllo lì ha funzionato. In quest’ottica vanno inserite le parole della Farnesina che invitavano gli utenti a “considerare eventuali difficoltà nei rientri a casa”: vanno messe in conto prima di partire e anche durante il viaggio.

Se è vero che il green pass stenta a diventare il tanto agognato passe-partout, probabilmente a causa di un certo timore dei Governi nazionali davanti a un virus che continua a spaventare nelle sue varianti, è anche vero però che prima di andare a casa di qualcuno è buona educazione conoscerne le regole.
Quei titolisti e giornalisti che hanno giocato quindi sull’ansia da (ri)partenza sfruttando l’onda dei casi di cronaca (Malta e Maiorca in primis) dovrebbero farsi qualche domanda sulla loro utilità oltre la manciata di click agognata dall’editore. Perché iniziare a dire che le “persone non sono state fatte imbarcare sull’aereo perché il green pass non bastava” fa sembrare straordinaria una cosa normale. Normale come pensare di andare in Cina, in Russia o negli Stati Uniti senza visto turistico e essere rimbalzati al gate.

Durante la pandemia ogni Stato ha preso le dovute precauzioni per tracciare, contenere e agire. Vale per la Spagna, vale per la Grecia, vale per l’Italia stessa che prevede un sistema ancora più rigido dei due precedenti. Non saperlo vuol dire essere stati fuori dal mondo per un anno e mezzo. Il vantaggio del villaggio globale e digitale è che ognuno di noi ha la possibilità di accedere a queste informazioni attraverso canali ufficiali in maniera semplice e produrre i documenti necessari per ottemperare ad ogni regola d’ingresso autonomamente: il più delle volte basta uno smartphone.

Nei giorni in cui il presidente del Consiglio Mario Draghi ha chiosato – con la semplicità che contraddistingue il suo stile comunicativo – sulla necessità di green pass come “condizione per mantenere aperte le attività economiche”, nella reale fobia di un’ecatombe sociale a causa di nuove chiusure, ogni titolo immotivatamente forviante che subdolamente tende a sminuire la validità della misura è un attacco alla ripartenza del sistema Italia e del sistema Europa a cui apparteniamo. Questo non vuol dire che il sistema di certificazione verde non sia rivedibile, migliorabile o che non richieda ulteriori interventi per renderlo performante. Ma almeno evitiamo di gettare letame su una discussione già delicata in un momento cruciale per le sorti del mondo.

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