Un recente sondaggio d’opinione ha rilevato che l’ordine giudiziario, ovvero la magistratura, subisce un forte calo di consensi e di apprezzamenti. Era prevedibile dopo che il pietoso velo è stato finalmente sollevato dallo scandalo scatenato dalle dichiarazioni di Luca Palamara. Quel che è stato finora accertato è il legame tra una larga schiera di magistrati e il Partito Democratico, al fine di poter decidere come occupare e spartirsi, con tanto di manuale Cencelli, i vertici delle principali procure e dei tribunali italiani. Tuttavia, tra la gente comune si percepisce l’idea che la questione riservi ancora molti colpi di scena. Dalle intercettazioni effettuate a carico di Palamara, dovrebbe venire altro materiale scottante, così come dalla verifica delle dichiarazioni rese ai pubblici ministeri di Milano dall’avvocato Piero Amara. Quest’ultimo ha raccontato dell’esistenza di una “loggia” che si riunisce in piazza Ungheria a Roma: una “conventicola” fatta da magistrati, avvocati e politici. Pare vi sia compreso anche l’ex capo del governo Giuseppe Conte. Se questa cosa fosse vera, c’è da ritenere che lorsignori non si riuniscono certo perché sono dei filatelici e magari si scambiano francobolli rari come il “Gronchi rosa”. Nossignore. Si riuniranno come da tempo immemore fanno le mille lobby di affari che in Italia agiscono in barba alla legalità ed alla trasparenza, cose finanche comprensibili in una Nazione ove non è ancora stata approvata una legge sui cosiddetti “portatori di interesse”.
Le cose cambiano se in quelle conventicole sono inseriti magistrati e pubblici ministeri, gente che persegue e incarcera chi commette reati come, appunto, il traffico d’influenza o il concorso esterno in associazione. Reati impalpabili a mezzo dei quali magistrati inquirenti e procuratori-capo riempiono le celle di detenuti in attesa di giudizio. Sanzione spesso irrogata come anticipatrice della pena, per cittadini che, nella maggior parte dei casi, saranno poi assolti. Sì, parliamo di quei dipendenti dello Stato che fanno carriera per anzianità e notorietà, che sono insindacabili ed impunibili anche se sbagliano per incuria e negligenza. Costoro sono spesso titolari di inchieste che per oltre il 60 per cento finiranno per essere archiviate per decorrenza dei termini, prima che si arrivi a celebrare la prima udienza. Sono proprio quelli più arcigni ed intransigenti, i cosiddetti “giustizialisti”, ad essere nell’occhio del ciclone, mentre i loro emuli, solitamente loquaci e presenzialisti su giornali e tv, adesso tacciono. Dismesso il mantello dei custodi della pubblica morale, giudici spesso orientati da motivazioni politiche più che giuridiche, si beccano innanzi alle telecamere per scaricarsi di responsabilità. Ecco che dopo Palamara finisce nel tritacarne un giovane pubblico ministero presso la procura di Milano, Paolo Storari. Inquisito ed interrogato sulle traversie e le peregrinazioni del fascicolo istruttorio contenente l’interrogatorio dell’avvocato Amara. Il giovane pm conferisce credibilità a quel che il legale siciliano ha rivelato sulla loggia di Piazza Ungheria. Questi, infatti, chiamò in causa il procuratore capo che invece nicchiò, lasciando che la cosa cadesse nel dimenticatoio e si confondesse con le migliaia di polverosi fascicoli destinati a finire nelle soffitte del tribunale, offerti alla critica divoratrice dei topi. Eppure quel procuratore capo si chiama Francesco Greco, già pubblico ministero del famoso pool di “Mani Pulite” e chierico di quel rito ambrosiano che metteva in galera chiunque fosse sospettato di poter riferire fatti utili all’accertamento delle responsabilità.
Quello stesso zelante magistrato, standoci per lo mezzo ipotesi di reato a carico di suoi illustri colleghi, si è convertito, di punto in bianco, alle ragioni del garantismo e sostanzialmente ha finito con l’ignorare le sollecitazioni del suo stesso pubblico ministero. Ma neanche questo potrebbe suscitare scalpore se non fosse che Storari, al di fuori di qualsivoglia assentita e legittima procedura, ha passato il carteggio a Piercamillo D’Avigo componente del Csm e presidente della associazione magistrati. Insomma, ne stanno facendo una questione di cautela tra magistrati in difesa della categoria, ed anche qui la cosa si insabbia. Fino a quando un altro magistrato Nino Di Matteo, riceve per vie traverse il carteggio e ne dà notizia, informalmente, al Consiglio superiore della Magistratura, bollando come calunnie le dichiarazioni di Amara. Davigo dice di aver informato chi di dovere e niente altro. Quindi siamo punto a capo. A finire indagato è Storari per l’impropria procedura, ma nessuno apre un’indagine sui contenuti del fascicolo. I sospetti e le accuse reciproche tra magistrati si sprecano, ma il buio su questo gravissimo caso non si dirada. Ci furono i tempi nei quali le toghe erano mantello per i crociati dell’onestà. Oggi sembrano, malinconicamente, solo stracci che volano.