Le elezioni regionali in Umbria hanno segnato il ritorno, in grande stile, del “centrodestra vittorioso”, copia sbiadita di quella compagine imperniata attorno a Berlusconi, che nel 1994 sconfisse, inaspettatamente, la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto. A confrontarsi, allora, non furono i singoli partiti bensì vere e proprie coalizioni scese in campo per contendersi il premio di governabilità. Quelle che invece, nei giorni scorsi, si sono scontrate in Umbria sono unioni opportunistiche che ben presto torneranno a separarsi. Una divisione che non solo affonda nei mutati rapporti di forza tra le “parti” in gara, ma anche perché lo richiede il nuovo sistema elettorale proporzionale, scelleratamente reintrodotto dal governo Renzi con il consenso di Lega, M5S e FI. Un sistema che esalta le singole identità più che le “sintesi”. Un guaio del quale abbiamo già pagato le conseguenze con la nascita di ben due governi improbabili, incoerenti ed instabili.
Va premesso che l’esiguità del numero degli elettori e la particolarità degli accadimenti (e degli scandali) verificatisi in Umbria, non consentono di poter estendere il risultato ad una previsione di carattere generale. Tuttavia, lo scrutinio ha prodotto elementi di riflessione eclatanti e di una chiarezza assoluta: sconfortanti per i perdenti, esaltanti per i vincitori. Il primo ad aver perso è stato il partito di Grillo e di Di Maio oggi rappresentato ai vertici dell’esecutivo da un re travicello, Giuseppe Conte, che già si atteggia a uomo nuovo della politica italiana. Il dimezzamento progressivo dei consensi ai 5Stelle è un dato ormai costante. A tal punto da poter essere considerato una prova del fatto che l’onda lunga della protesta esacerbata ed eccitata sul web, si sta, via via, smorzando.
Che stiano passando di moda le aggressioni verbali e gli odi sociali eccitati da pseudo rivoluzionari, è un dato di fatto. Come lo è il vuoto pneumatico, quello grillino, che accredita ormai per tramontate le speranze del cambiamento radicale, politico e morale promesso con tanta faciloneria dai pentastellati. Dal voto esce malconcio anche il Pd di Nicola Zingaretti, rivelatosi, quest’ultimo, ben poca cosa come politico di spessore nazionale, contraddittorio nelle affermazioni e scadente nel carisma personale. Insomma un comparsa più che un protagonista, ben lontana dal poter garantire ad un partito come quello Democratico, la rinascita dopo ben due scissioni. Non ci vuole molto acume per prevedere la lenta inesorabile erosione che Renzi farà alla destra del Pd atteso che il Matteo di Rignano non sfondi al centro come avrebbe sperato. Continua ad essere pressoché inesistente la sinistra ovvero quell’aggregazione di dissidenti dem riunitasi per stato di necessità e senza saper indicare quella famosa e sconosciuta “terza via” tra capitalismo e socialismo che pure ne avrebbe giustificato l’esistenza. Sul versante opposto il Cavaliere ed il suo rimasuglio di cortigiani “reggicoda”, sembrano ormai avviati sempre più verso la marginalità. Non è difficile, a questo punto, prevedere un vero e proprio “rompete le righe azzurro” con relativa corsa all’abbraccio di Renzi o Salvini. Vincitori della contesa: l’asse sovranista FdI (Meloni)-Lega (Salvini), con trionfatore assoluto il leader del Carroccio che, contrariamente a quando gli davano dell’allocco per essersi tirato fuori dal governo gialloverde, ha incassato sia il vecchio “plauso” degli elettori, sia una fetta di quello nuovo derivatagli dalla protesta per una finanziaria di lacrime e sangue. Il leghista ha incamerato però anche il consenso delle leggi fatte dal precedente esecutivo, sia per le partite iva, sia per la gente desiderosa di sicurezza, ed ha evitato di condividere la presentazione del conto agli italiani.
Chiamatelo truce, rozzo, populista e chi più ne ha più ne metta, ma resta il miglior esemplare di animale politico col fiuto e l’intuito necessario, in circolazione, con inoltre la fortuna di non doversi misurare con avversari che siano dei giganti. Ora si aspettano le altre sfide di questi mesi in altre regioni del Centro Nord e del Sud, più popolose e più incidenti sulla politica nazionale. Il governo allora non avrà più scuse e dovrà tirare le somme in caso di nuovi ko. Vedremo se l’esperimento tra Pd e M5S sarà ripetuto sostenendo personalità della cosiddetta “società civile”. Dalle nostre parti, intanto, tira un sospiro di sollievo il governatore Vincenzo De Luca al quale parecchi esponenti di sinistra avevano già cantato il de profundis. Credo, in definitiva, che la lezione umbra e qualche altra che già si annusa nell’aria – gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore – possano confermare nuove e più rosee previsioni per il centrodestra.