CASAPESENNA – Dentro, ora, c’è solo Michele Zagaria. Perché prima ancora della scarcerazione del fratello Pasquale (da 10 giorni a domiciliari a Pontevico), già ad aprile, Antonio, altro germano del capoclan, aveva lasciato la prigione di Terni: nessuna liberazione anticipata, chiariamolo subito. Nessun altro caso da portare in tv. Il boss, il tre aprile scorso, ha semplicemente terminato di scontare gli anni di detenzione che aveva incassato. E’ tornato a casa (dalla moglie Patrizia Martino). Tutto regolare.
Scarcerazioni ‘naturali’
Chi ha fatto (fa) parte del clan e non ha avuto condanne all’ergastolo, prima o poi esce. Torna a passeggiare per strada, senza manette. Ma quando a lasciare la cella sono personaggi che hanno avuto un ruolo di rilievo nella cosca, fisiologicamente rischiano di attivarsi meccanismi pericolosi. E così lo spettro della riorganizzazione criminale via via diventa una possibilità concreta.
Gli arresti
Antonio Zagaria forse (mediaticamente) è il fratello meno noto del padrino. Ma dopo il blitz in via Mascagni (che il 7 dicembre di 9 anni fa portò alla cattura di Michele) si è ritrovato a guidare il clan in solitudine. Perché Pasquale era finito in cella già nel 2007 (si costituì) e Carmine nel gennaio del 2011. Una reggenza, però, durata poco. Soltanto un anno: Antonio Zagaria, infatti, viene ammanettato nel novembre del 2012 dalla Squadra Mobile di Caserta. L’indagine che lo trascinò in prigione, insieme a Filippo Capaldo, era incentrata su due episodi estorsivi (vicenda ora al vaglio della Corte d’Appello di Napoli). L’arresto per pizzo fu soltanto l’inizio.
L’anno successivo la Mobile gli notificò una seconda ordinanza cautelare, ma con un’accusa ben più grave: associazione mafiosa. Ed è in quel provvedimento, basato anche sulle dichiarazioni dei pentiti Salvatore Venosa, Salvatore Laiso, Roberto Vargas e Tammaro Diana, che per la prima volta i pm tracciano il suo ruolo verticistico nel clan.
Nell’aprile 2014 arriva la terza ordinanza: viene coinvolto nell’inchiesta ‘Carburanti’. Tra i protagonisti di quell’operazione c’era pure Nicola Cosentino, ex parlamentare del Pdl. Ma se per il politico la vicenda si è conclusa con l’assoluzione irrevocabile, decisa in Cassazione, Antonio, a giudizio con rito abbreviato, ha rimediato la condanna (definitiva e ormai scontata) per estorsione ai danni di un imprenditori di Villa di Briano.
Nel 2017 altro arresto. Stavolta il territorio in cui avrebbe agito è la Valle di Suessola, incidendo, secondo la Dda, in alcuni appalti gestiti dall’amministrazione comunale di Pasquale De Lucia. In relazione a tale procedimento il processo a suo carico è ancora in corso a Santa Maria Capua Vetere.
L’ultimo ‘guaio giudiziario’ per il boss risale al 2019 e riguarda l’indagine della Dda sulle ville di famiglia. Antonio Zagaria, secondo l’Antimafia, dopo aver acquistato un immobile in via San Marco a Casapesenna, ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, lo avrebbe intestato fittiziamente alla coppia di coniugi originariamente titolare della casa. La vicenda sarà affrontata a luglio dinanzi al tribunale di Napoli.
Zagaria family
Quello di Zagaria è un clan familiare, simile ad una ‘ndrina calabrese. Le informazioni che contano, le decisioni pesanti vengono prese da chi ha lo stesso sangue del padrino ergastolano. E il delfino che Capastorta ha designato, infatti, quando i suoi fratelli erano già tutti dentro, non era un semplice affiliato. Ma il figlio di sua sorella Beatrice, Filippo Capaldo (in cella dal 2019).
Tenendo conto di questa caratteristica, una scarcerazione come quella di Antonio Zagaria inevitabilmente assume un peso diverso. Ha scontato il suo ed ha il diritto di tornare dove vuole. Ma bisogna stare in allerta. Dopo Carmine Zagaria è il secondo fratello del capoclan che ha riacquistato la libertà.
Tutti quelli che hanno avuto un ruolo di comando nella catena della cosca stanno lasciando la prigione. E il loro ritorno, associato alle eventuali scarcerazioni di altri ras (di livello medio-basso) può rappresentare, almeno in potenza, un ritorno a tempi bui, quando la mafia Casalese era fisicamente presente nell’Agro aversano.
Gli effetti del ‘caso Dap’
A dare un altro sapore all’uscita di galera di Antonio Zagaria ha contribuito, inevitabilmente (seppur presa 23 giorni dopo), la decisione della Sorveglianza di Sassari sul fratello Pasquale. Fino a settembre, per motivi di salute e per non essere riusciti a procurargli un carcere con strutture idonee a curarlo, sarà ai domiciliari, in provincia di Brescia. La sentenza, ormai è arci-noto, ha sollevato un vespaio di polemiche sul Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, innescando le dimissioni di Francesco Basentini (chiamato da Alfonso Bonafede a guidarlo nel 2018). Ma pure il ministro non è stato salvato da critiche. Gestire il Dap è compito del Guardasigilli. Mentre domenica sera si parlava del caso Zagaria a Non è l’Arena, la trasmissione in onda su La7, Nino Di Matteo è intervenuto con una telefonata non programmata. L’ex pm della Dda di Palermo, ora al Csm, ha rivelato a Massimo Giletti che Bonafede gli aveva inizialmente chiesto (due anni fa), di dirigere il Dap, ma dopo 48 ore, quando il magistrato era pronto ad accettare, il ministro gli disse di voler puntare su un altro nome. Di Matteo ha corredato il racconto della trattativa citando le preoccupazioni di alcuni boss intercettati al 41bis. I mafiosi, ascoltati dagli agenti del Nic, dicevano che avere Di Matteo a al capo del Dap per loro avrebbe significato la fine. Insomma, tutta la vicenda ha fatto tornare popolare gli Zagaria. E sapere che oltre a Pasquale fuori c’è pure Antonio (e da un bel po’ anche Carmine)… è tutta un’altra (brutta) storia.
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Il pericolo di un clan guidato dalla cella
I colloqui con i familiari e i suoi ‘sfoghi’ nelle udienze: sono i sistemi che Michele Zagaria avrebbe usato per continuare a dettare la linea al clan anche dal carcere duro.
Il boss, secondo la Dda, ha ridestato la cosca facendo sapere agli affiliati che non si sarebbe pentito e che continua a rispettare Francesco Sandokan Schiavone (lo ha detto a dicembre, in Corte d’Assise a Napoli, durante il dibattimento per l’omicidio di Nicola Villano).
Il clan dei Casalesi, grazie agli arresti e alle numerose confische, si è indebolito. Ma non è stato sconfitto. E l’atteggiamento di Zagaria, purtroppo, lo dimostra. A rischiare di rafforzarlo ci sono, poi, i segnali sbagliati dati dallo Stato. Quali? La recente querelle tra Sorveglianza e Dap, che ha fatto aprire le porte del 41bis a Pasquale Zagaria non ha fatto bene all’Antimafia. Perché il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria non è stato in grado di garantire al detenuto, in tempo utile, dopo aver subito un intervento chirurgico, un carcere dove potesse essere curato. Sarebbe dovuto uscire fra due anni, ed invece, questa mancanza gli ha fatto guadagnare la luce del sole molto prima.
Il clan di Casapesenna è l’unico a non aver registrato il pentimento di un boss di primo livello. Hanno collaborato uomini di fiducia del padrino, come Massimiliano Caterino, Michele Barone e Francesco Zagaria. Ma nessuno che occupa (ha occupato) un ruolo nella stanza dei bottoni (almeno fino ad oggi) ha scelto di collaborare. Un elemento da non sottovalutare, che dimostra ulteriormente la pericolosità della cosca.
Ed ora che fuori ci sono Carmine, Antonio e Pasquale Zagaria (ai domiciliari), in pratica tutti i fratelli del capoclan, l’allarme deve scattare in automatico. Le scarcerazioni, soprattutto se avvengono dopo che i boss hanno terminato di scontare il dovuto, non vanno viste come la vanificazione del duro lavoro fatto da pm e forze dell’ordine. Sarebbe errato e per certi versi incivile. Possono diventarlo, però, se non sono seguite da reazioni nette. E ad averle, in casi del genere, non deve essere più la magistratura. Ma la politica, le associazioni, la scuola e la chiesa. E’ un concetto che ripetiamo spesso. Rischiamo di stancare, è vero, ma pazienza. Perché è importante: se tutti condannano culturalmente quanto fatto dagli Zagaria, non c’è da temere. Potranno restare a Casapesenna, nell’Agro aversano, in Campania, dove vogliono fino alla fine della loro vita. E non incideranno più. Non avranno potere. Ma non bisogna lasciare loro spazio.
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