Dopo la tragedia di Cutro, costata la vita a oltre 70 migranti (molti dei quali bambini), il governo corre ai ripari sotto l’incalzare di quanti, immemori di aver guidato Palazzo Chigi per quasi dieci anni, espongono Giorgia Meloni al pubblico ludibrio. Il nostro resta un Paese senza speranze per il futuro, nel quale ogni vicenda, anche quella tragica, diventa motivo di speculazione. Quando più volte ho ribadito, in passato, che a Roma spacciavano il gioco dell’oca per la “politica”, non credo di essermi sbagliato. La logica, in fondo, è quella di screditare chi regge le sorti della Nazione menando lo scandalo, salvo poi, a parti invertite, indossare le vesti degli statisti pensosi per le sorti del Belpaese. Però a tutto c’è un limite. Quello della decenza e della memoria, che dovrebbe essere rispettato secondo il vecchio adagio: si tratta di un problema quando esiste una soluzione, qualora quest’ultima non c’è, allora ci troviamo al cospetto di uno stato di fatto. E i fatti, è risaputo, sono opinioni testarde, incontrovertibili e durevoli. Proprio come il fenomeno migratorio: uno stato di fatto di cui prima la classe politica e l’opinione pubblica prenderanno coscienza e migliori saranno le soluzioni da adottare. Uno stato di fatto che, peraltro, sfugge al controllo degli stati sovrani, incoercibile se affrontato con atti legislativi singoli e disarmonici. Innanzi alle coste europee si muove un esercito di diseredati, che tenta di sfuggire, con ogni mezzo, alla morte, alle persecuzioni etniche e religiose, alle varie satrapie e dittature che costellano i loro paesi d’origine. Pensiamo all’Afghanistan, alla Siria, alla Nigeria e al corno d’Africa in generale. Se ai profughi e ai richiedenti asilo si aggiungono gli affamati, i poveri senza alcuna speranza di poter vivere, curarsi, istruirsi e mangiare, ecco che la massa dei potenziali migranti verso l’Europa sale a qualche centinaio di milioni di esseri umani. Occorre prendere coscienza che le politiche di ributtarli a mare oppure di accoglierli senza alcun limite e discrimine, sono agli antipodi di una stesso illusorio fallimento. Il fenomeno peraltro non è più estemporaneo, lasciato all’improvvisazione e alla disperazione di quanti tentano il tutto per tutto pur di attraversare il Mediterraneo. All’opposto, si sta facendo, via via, sempre più organizzato finendo nelle mani di vere e propri “negrieri”, moderni commercianti di esseri umani con alle spalle non solo l’esercito degli scafisti irresponsabili e rapaci, ma anche le schiere di menti perfide che formano un sistema lucrativo su vasta scala. Se ogni “passeggero” tira fuori da 6 ai 10mila euro per imbarcarsi, significa che ogni traversata frutta qualche milione di ricavi. E se quei tragici viaggi si moltiplicano per decine e decine di volte, ecco che le cifre degli introiti diventano addirittura esorbitanti. Tanto ricche da poter corrompere polizia, esercito e governanti degli stati rivieraschi dai quali questi disperati si mettono in moto. Le stesse cose sono, ahinoi, ipotizzabili anche per alcune delle associazioni umanitarie che con le loro barche stazionano in permanenza nel tratto di mare interessato, per soccorrere i barconi e trarre in salvo i migranti. Nel mentre non si sono ancora sopite le indignazioni per Cutro, le agenzie avvertono che altre decine di natanti stracarichi sono in viaggio in queste ore, per sfruttare, tra l’altro, gli stessi mezzi di soccorso della marineria italiana. L’Europa ci ha dato molta comprensione e pochi aiuti finora: molte belle parole ma non un reale sistema di condivisione del problema che ostinatamente si tenta di addossare alla nazione meta dei tragitti avventurosi. Come le antiche prefiche, gli stati del Nord Europa piangono i morti esecrando le tragedie ma non alzano un dito per spartirsi gli oneri dei soccorsi e l’accollo dei migranti. Una cecità politica che riduce a fenomeno localizzato il problema, limitatamente dimensionato nella sua consistenza numerica (reale ed ipotetica). In questo bailamme l’Italia è il paese più esposto perché il più vicino per sponda di approdo e per indeterminatezza dei governanti. Ciò nonostante non si riesce a trovare una sintesi legislativa condivisa in Parlamento e un’unanime presa di posizione verso l’Unione Europea. La sinistra invoca demagogicamente corridoi umanitari, senza indicare dove questi dovrebbero avere il loro capolinea né chi dovrà prendersi cura delle migliaia di persone. Una specie di “laissez faire” che gli statalisti aborrono in economia ma prediligono in politica. A destra si tenta invece di arginare il fenomeno, scansando le mine delle accuse di razzismo e crudeltà, ma senza alcuna visione d’insieme. Tra pizzichi e bocconi, gli uni e gli altri, ci condannano a vivere in futuro come un popolo di meticci.