L’errore fatale (per fortuna) dei Casalesi

La policy di incamerare tutti ha rafforzato l’organizzazione dal punto di vista numerico, ma di fatto l’ha resa fragile. Penetrabile. La stessa lettura, lo stesso ragionamento, qualche giorno fa, è stato fatto dal procuratore Nicola Gratteri a DiMartedì, la trasmissione condotta da Giovanni Floris. “Se un giorno dovessero finire le mafie, la camorra sarebbe la prima a sparire. E’ meno rigorosa”

“Vis-à-vis non l’ho mai incontrato. Michele Iovine apparteneva ad una generazione diversa dalla mia”. Parla bene Nicola Schiavone. Non biascica le parole come Massimiliano Caterino. E’ lontano dal tono gagaista di Antonio Iovine. Il figlio di Sandokan usa un italiano discreto. E’ diretto. E’ lineare. Ieri, nel suo debutto da pentito, rispondendo al pm Simona Belluccio, ci ha ficcato persino una locuzione francese. E quando ha spiegato la struttura territoriale del clan ha scomodato pure il latino, tirando in ballo il concetto di ‘ius’. La fine dei Casalesi probabilmente passerà (sta passando) per il boss più acculturato che hanno allevato nell’ultimo ventennio. Il padre, Francesco, lo ha fondato. Da primogenito, ora, Nicola Schiavone ha tutte le carte in regola per distruggerlo. “Negli ultimi anni – ha raccontato il collaboratore di giustizia – la mia famiglia si era sfilacciata. C’è chi voleva mantenere l’omertà e chi si era mostrato pronto a collaborare”.Capacità linguistiche a parte, i Casalesi, così come abbiamo imparato a conoscerli, non ci sono più. Il figlio di Sandokan, salvo ripensamenti, sta dando loro il colpo di grazia. Le sue informazioni sono importantissime. Alla Dda serviranno a scardinare le casseforti dell’organizzazione, saranno fondamentali per dare nomi e cognomi a politici e imprenditori collusi.

A dire il vero è da un ventennio che la mafia dell’Agro Aversano, forse inconsapevolmente, ha avviato un meccanismo di autodistruzione. Lo ha spiegato ieri mattina, in videocollegamento con il tribunale di Napoli, proprio Schiavone. Lo ha fatto partendo dalla tradizione. “Il rituale nel clan non è più importante – ha dichiarato il neopentito. – E’ vero che dopo l’arresto di mio zio Francesco Schiavone Cicciariello (2004) non c’erano più persone in libertà autorizzate a farlo. Ma dopo il 2003 nel clan erano entrati a far parte personaggi che prima, invece, mai sarebbero state affiliate”. La selezione, fortunatamente, è venuta meno. La policy di incamerare tutti ha rafforzato l’organizzazione dal punto di vista numerico, ma di fatto l’ha resa fragile. Penetrabile.

La stessa lettura, lo stesso ragionamento, qualche giorno fa, è stato fatto dal procuratore Nicola Gratteri a DiMartedì, la trasmissione condotta da Giovanni Floris. “Se un giorno dovessero finire le mafie, la camorra sarebbe la prima a sparire. E’ meno rigorosa”. E come termine di paragone ha usato la ‘ndrangheta, la materia che il magistrato di Catanzaro conosce meglio e combatte da trent’anni. Uno sgarrista, per diventare tale, ha dovuto superare un numero impressionante di prove criminali. Per i camorristi, invece, non succede.

Per il clan dei Casalesi sta suonando il de profundis. E’ una vittoria. Ma la malavita si rigenera, cambia forma. Si adegua. In Terra di Lavoro sta già accadendo. I boss non sono più latitanti che ordinano omicidi ed estorsioni. Le redini del malaffare (organizzato) son in mano ai colletti bianchi, ad imprenditori spregiudicati pronti a corrompere e turbare gare. Basta dare uno sguardo al sistema rifiuti. Parallelamente cresce la camorra spiccia, quella che fa chiasso, che fa business con la droga.

Il pentimento di Schiavone, se regge, è una vittoria. Ma bisogna stare in allerta. Morto un clan, se ne fa un altro. Ed il nuovo è più camaleontico del precedente.

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